Come sempre hai fatto uno di quei tuoi errori di valutazione, che consistono col fatto che un’operazione chirurgica, forse, non è una di quelle cose che ti puoi tenere per te e non dirla a nessuno. Una di quelle cose che se non la dici, non esiste veramente.
Il punto è che c’è quel misto di paura e ansia, ma non vuoi ingigantirlo neanche più di tanto. Non ha senso dare così tanto peso alla cosa con gli amici, ancora meno parlare con genitori e parenti. Perché far preoccupare anche loro quando non potrebbe non essere necessario?
E poi, trent’anni, una clinica a due passi da casa,  un tranquillo-in-giornata-sei-fuori, sarò in grado di cavarmela da solo no?
Ovvio che sì, per forza. Poi però finisce che ti fanno un’anestesia totale, ti dimettono alle 19 ormai con le farmacie di zona chiuse e il tuo compagno di stanza -tuo improvviso BFF- ti convince che forse è meglio non tornare a casa a piedi, con questo caldo, e ti offre uno strappo (beh, non guidava lui, ovviamente).
E poi, in serata, tentando di capire qualcosa dell’organizzazione delle medicine che ti faranno compagni per i prossimi giorni, ti rendi conto ancora una volta di quanto un’amica che ti scrive dall’oltremanica sia in realtà vicina.
E poi c’è anche chi prende tutto, sale in macchina, si fa troppi chilometri da Milano e viene a farmi compagnia. Almeno per la sera e per la notte. Per sicurezza. Che non si sa mai. Nonostante il giorno dopo debba comunque andare a lavoro e finire una valigia per un viaggio di lavoro.
E io, ecco, non so che dire, non so che fare: a parte avere gli occhi a cuore per avere amici così.