Non puoi pretendere di essere amico di tutti, o quasi.
A volte semplicemente non lo si è, anche se si fa finta di.
Semplicemente basta smetterla di rimanerci male tutte le volte.
Non puoi pretendere di essere amico di tutti, o quasi.
A volte semplicemente non lo si è, anche se si fa finta di.
Semplicemente basta smetterla di rimanerci male tutte le volte.
Un sacco di km macinati avanti e indietro da Milano, Â su una macchina tutta nuova.
Giornate di lavoro piene, lunghe, pesanti. Ma poi tutto sembra svanire al superare quella consegna importante e al sentire persone che fanno i complimenti. Non è possibile crederci al 100%, ma almeno c’è modo di godere di un po’ di felicità riflessa.
Gli spritz al bar vicino l’ufficio, 3 giorni su 5, con gruppi di colleghi diversi per serate dal taglio diverso.
Una sincerità altrui che fa riflettere e comprendere cose. Ricordando però quella sensazione di abbandono  e senza una guida da seguire. Parole che vogliono lasciar prevalere la ragione e sull’istinto.
Un progetto che sta ribollendo in pentola. La speranza di riuscire, al netto delle difficoltà da affrontare.
E poi, poi le lacrime per non riuscire più a vedere così chiaramente un futuro che sembrava ormai dato per certo, ovvio e scontato.
È che ti capita di passare, nel giro di neanche 6h dall’essere contento ed esaltato per la consegna di un lavoro a sentirti, per lo stesso lavoro, niente più che un’inutile nullità .
Perché nuovi acquisti e vecchie glorie si permettono di ignorare tutti i se e tutti i ma del passato, i problemi, le difficoltà , gli intralci che hai subito ed affrontato col massimo impegno e sforzo, fisico e morale, ed andare avanti fornendo il meglio possibile in quel momento, in quella situazione, con quelle premesse.
Paraculismi e prese di posizione forse dovute e doverose, ma che ti si scagliano addosso come massi caduti dall’alto e che ti fanno un male cane.
Un senso di sconforto totale per tutti gli sforzi fatti e il dubbio atroce che quindi i traguardi e i risultati che pensavi di aver raggiunto sono stati in realtà immaginazioni effimere della tua mente non supportate dalla realtà .
Un senso di paura per il futuro, l’annullamento delle tue certezze e la messa in discussione senza se e senza ma di tutto quello che sei, professionalmente parlando.
E poi si aggiunge quella rabbia, quella rabbia per chi si permette di trattare così te, il tuo lavoro, la tua professionalità , quando invece dovrebbe essere la persona che lì proprio per aiutarti e supportarti proprio in questi casi.
Il provare a sollevare obiezioni, forse in maniera troppo debole, giusto perché per diplomazia non puoi prendere e mandare quel vaffanculo che invece ti sta saltando fuori dal cuore e che la mente sta ricacciando giù, cercando il dialogo, la spiegazione, la condivisione di quel passato dimenticato o peggio ignorato.
Si parlava del futuro, delle cose che devono partire bene e invece ti ritrovi all’improvviso con l’idea di un passato che hai distorto.
E ti ritrovi col volto bagnato e non hai più scusanti, visto che sei sul vagone, al capolinea di una metro.
Quando ero piccolo avevamo un timer da cucina a forma di uovo. Era bellissimo, in plastica beige e ci giocavo sempre, di nascosto: si poteva far rotolare e girare e lui tornava (quasi) sempre in piedi, ma muovendosi si sentiva il tintinnio della campanella interna. Ma alla fine, si è rotto, anche se non direttamente per colpa mia.
E non siamo mai riusciti a trovarne uno simile.
Poi capita per caso di trovarne uno molto simile su Amazon, anche se di metallo. E scatta immediatamente l’acquisto.
L’ho fatto a vedere a mio padre e ho visto aprirsi sul suo volto un sorriso come mai ne avevo visti.
E adesso è lì, nella sua confezione, sul tavolo, di fronte a dove di solito si siete mia madre con un post-it che recita Ti ricorda qualcosa? 😉
Speriamo che anche a lei piaccia.
E oggi, cresima di un nipotino, in attesa dell’arrivo della prossima, tra 2 settimane.
Una scusa come un’altra per comprare Just Dance 4, aspettare che buona parte degli invitata se ne fosse andata e lanciare lo sfidone.
Il risultato?
Braccia che non si sentono più e tanto tanto tanto sudore.
Che sia il caso di riprendere ad andare in palestra (o per lo meno a Fit Boxe), così non mi spompo così facilmente?
Non me ne sono ancora reso conto, ma alla fine un capito della mia vita è finito. E ora posso riprendere a godermi piccole cose che avevo dimenticato.
Un weekend spensierato, una domenica in giro per Milano, la voglia di riprendere a scrivere frivolezze su queste pagine e qualche articolo serioso sul blog professionale.
E di oggi, come non parlarne bene?
Una giornata che si riassume con un’immagine, questa:
L’incontro a Milano con N. from Bergamo, le indicazioni giuste ma circa sbagliate per fargli trovare parcheggio, la consegna del mio regalo di laurea (sì, il bookshelf di Portal. Li volevo, mi servivano e lui me li ha comprati. Vorrei sapere come fa sempre a farmi regali così azzeccati). Il delirio per cercare un posto dove fare un brunch, l’incontro con una collega di lavoro che consiglia un locale che sì, poteva essere carino, ma alla fine non si è rivelato così. La visita al Museo della Scienza e della Tecnica per vedere la mostra di Ubisoft su Assassin’s Creed e l’acquisto del relativo e meraviglioso catalogo edito da Skira. E poi c’erano dei taccuini Moleskine marchiati del Museo, che costavano anche meno dei Moleskine originali: come non comprarli? La camminata in Duomo, l’acquisto impulsivo di un maglioncino cotone misto cachemire. Il giro da Moroni Gomma e l’acquisto di un regalo azzeccatissimo per una cara collega di lavoro. La metro di nuovo verso i Navigli, il giro in SuperGulp e l’acquisto degli ultimi due Cactus Pups di Tokidoki che mancavano per completare la collezione. L’attesa che aprire il posto degli arrosticini. E le 19. L’iPhone scarico. E le 19.10. E le 19.20. E alla fine alle 19.30 e passa e il posto ancora chiuso, con mezza clare abbassata, le luci e il condizionare acceso. E ci siamo arresi e abbiamo ripiegato sulla gigheria. Un piatto gyro, mangiato in strada e via. Ritornare alla macchina, vedere il posto degli arrosticini aperto e fermarsi e mangiarli. Tornare alla macchina, salutare N., recuperare la macchina e tentare di raggiungere il Rhabar per l’evento organizzato da un’altra collega. Rivedere un po’ di persone che non si vedevano da un po’, vedere la collega per cui si era preso il regalo, consegnarlo, vederla felice, essere contenti.
E alla fine è finita anche questa.
Con una serie crescenti di eventi che no, non poteva essere vero e quasi stavo per gettare la spugna, tra tizi da intervistare che non rispondono, giornate folli a lavoro, sere, notti e mattinate in bianco, battibecchi vari e, infine, uno stampatore che si dimentica di stampare e la follia del trovarmi a far rilegare i book e far ristampare le sovracopertine su lucido alle 8.30 del mattino.
Ma, nonostante tutto, ce l’abbiamo fatta, pur con l’agitazione che è improvvisamente salita nel momento esatto in cui ho preso in mano il microfono, almeno fino a quando mi sono reso conto che lì, in commissione, una delle mie ex prof continuava ad annuire soddisfatta. E ho pensato: fuck yeah!
E poi, come si addice in quel della Bovisa, proclamazione di massa e via: Dottore in Design della Comunicazione.
Fermo nel traffico, sotto la pioggia che cade da un cielo color tristezza.
L’iPod propone musica a caso da una playlist di anni fa.
My tea’s gone cold I’m wondering why I
Got out of bed at all
The morning rain clouds up my window
And I can’t see at all
And even if I could it’ll all be gray,
But your picture on my wall
It reminds me, that it’s not so bad,
It’s not so bad
Guardo la data sul cruscotto e improvvisamente mi rendo conto che sono quasi due anni.
Vedo il casello e mi ricordo di quando ero passato da lì, seguendo le indicazioni di un incerto navigatore per raggiungerti, parlare degli ultimi dettagli e il pranzo di festeggiamento dell’inizio di una mia nuova vita.
Poi le cose non chiare, i cambi, le incomprensioni ed è finito tutto con una telefonata durata un’eternità qualche settimana dopo. La rabbia, l’agitazione, lo sconforto, quei ciao finali che sapevano di addio.
E io ho lasciato perdere.
Eri una di quelle cose certe nella mia vita. Il sentirci improvvisamente per poi perderci nelle nostre vite. Le cene con la tua famiglia, le feste, le giornate in piscina, i sogni di riuscire ad organizzare vacanze assieme, l’aggiornarci a vicenda di tutto quello che era successo nel frattempo.
Ho lasciato perdere, tranne nel giorno del tuo compleanno. Un messaggio, è tanto che non ci sentiamo, vediamoci per un apertivo! E nel frattempo è passato un altro anno. E un altro tuo compleanno si avvicina.
Shake it, shake it, shake, shake it, shake it, shake it (OHH OH)
Shake it, shake it like a Polaroid Picture, shake it, shake it
Shh you got to, shake it, shh shake it, shake it, got to shake it
(Shake it Suga’) shake it like a Polaroid Picture
Cambia canzone, cambia il ricordo.
I chilometri che ci siamo macinati sulla macchina. I repeat ai cd, le canzoni che cantavamo a squarciagola. L’ultimo anno delle superiori, il quasi volo su quel dosso maledetto mentre andavamo da compagni di classe a studiare insieme chissà cosa. Le scorciatoie sullo sterrato per arrivare prima al Liceo evitando il traffico, prima che le chiudessero tutte per i lavori alla superstrada che non abbiamo mai fatto assieme.
Vado di fretta
vado di fretta
non ho più tempo
datemi retta
Gino mi aspetta
dentro un’Alfetta
piena di muffa
Ricordo di come me l’avevi fatta scoprire tu, che io non l’avevo mai sentita. E poi ci rivedo in autostrada, sulla tua macchina, parlando del più e del meno di ritorno da una giornata in università . Esattamente dove sono adesso, in coda alla barriera, ma nell’altra direzione e così, all’improvviso, io che ti rivelo quello che tu in fondo già sapevi su di me.
A ripensarci, la scena è stata da sorriso. Tu che mi guardi, il tuo ma L., non si dicono così certe cose! Il leggerezza del sollievo, la gioia delle risate e il capire che in fondo non avrebbe cambiato nulla dirlo al mondo.
And I hope that you are
Having the time of your life
But think twice
That’s my only advice
E poi qualche mese fa su Facebook mi capita sott’occhio una tua foto, in una chiesa, con un abito bianco. E neanche a farlo apposta, capita che incontro in università un amico comune che mi conferma la cosa.
E son contento. Contento per te, contento per lui, triste per me.
Fuori da questo tuo momento così importante, ripenso a quando al matrimonio di tua sorella mi avevi detto che mi avresti voluto come tuo testimone e sapevo che quel momento sarebbe arrivato presto. Ma è andata come è andata.
Near a tree by a river
There’s a hole in the ground
Where an old man of Aran
Goes around and around
And his mind is a beacon
In the veil of the night
For a strange kind of fashion
There’s a wrong and a right
Ritorno nel traffico e penso ad una vita diversa, di scelte fatte. Di capire se eran giuste o sbagliate.
Finire con fatica, ma vedere con gioia ipotetiche foto del salto della siepe in Gemelli, viaggi avanti e indietro da lavoro assieme, una vita in giacca e cravatta, barba e capelli obbligatoriamente più corti e curati.
Chissà .
Intanto il tuo compleanno si sta riavvicinando. Tempo per un altro sms e per parlare di un aperitivo che non organizzeremo mai?
If anything should happen, I guess I wish you well
A little bit of heaven, but a little bit of hell
Ci son volte che senza due nulla mi perdo per conto mio in brutti giri di pensieri.
E tutte quelle volte, giusto perché sono uno che non fa trasparire mai nulla, tu sei lì a chiedermi se va tutto bene e io ti rispondo di no, anche se non è vero.
Ti rispondo di no perché se ti rispondessi di sì dovrei anche dare fiato ai miei pensieri e non voglio, non voglio farli diventare ancora più veri e importanti fuori dalla mia testa.
E ti rispondo di no per non farti preoccupare, anche se so che non sono per nulla convincente e tu comunque non ci credi e ti preoccupi lo stesso.