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Shangri-La

Mi sento strano.

Son due settimane che bene o male corro da una parte e dall’altra senza un attimo di riposo.

Mi manca poter dormire.

Mi manca poter uscire normalmente la sera.

Mi manca guardare un po’ di tivvù, giocare col Wii o il DS.

Mi mancano i telefilm e le serate al cinema.

Vorrei poter ritornare a vivere alla giornata senza pensare al futuro.

Vorrei sentirmi di nuovo la testa leggera e non assistere impotente a quello scontro perenne di pensieri impazziti.

Ma in fondo, vorrei avere ancora qualche illusione a cui aggrapparmi.

Oggi [Ieri]

Oggi, cioè, ieri, è finalmente finito.

Una giornatina niente male a lavoro. Un po’ di situazioni difficili da gestire, comparse tutte all’ultimo momento, ma alla fine, è andato tutto bene, senza troppi inghippi.

E non so perchè lo sto scrivendo. Forse per scrivere qualcosa, forse per passare un po’ di tempo prima che Morfeo passi a trovarmi.

C’è da dire che ultimamente, sto veramente trascurando la parte “social” di me. Poco twitter, reader ormai bloccato sul 1000+.

Questi due giorni di lavoro sono stati molto strani, dopo i 2 giorni di università. Mi sono reso conto di sbirciare tutti i volantini alla ricerca dell’offerta giusta su un Nokia UMTS (ancora mi mangio le mani). Le mie adorate serie TV le ho abbandonate, per mancanza di tempo. Esco veramente poco, tanto che questa sera ho anche rinunciato alla goodbye night di uno degli stagisti che ha deciso di cercare un altro lavoro. Il Wii è spento da un sacco di tempo, il DS pure. Ho giocato per un’oretta a Spore ma non mi è piaciuto molto. Troppo poco riflessivo, troppo d’azione. No, me lo aspettavo diverso. Mi sembra di aver perso qualche contatto. Di non sentire più alcune persone a me care, di essermi un po’ allontanato.

E poi.. boh. Sto scrivendo un sacco di righe senza avere, alla fine, nulla da dire.

Non so come sia possibile, ma a volte, mi sento un po’ vuoto. C’è qualcosa, di fondamentale, che sembra che mi manchi. E non riesco a capire cosa sia.

2/2

Ho avuto la conferma.

Ho superato anche l’altro test d’ingresso.

Bene.

Ottimo.

Ho superato entrambi i test d’ingresso.

E ne avevo fatti due, perchè dovevo avere la possibilità di fare qualcosa nel caso in cui uno andasse male.

E dire che prima avevo in mente di scegliere altro.

E invece, poi, ho cambiato idea.

E lunedì inizierò il percorso che volevo iniziare quattro anni fa.

E lunedì inizierò il percorso che dovevo iniziare quattro anni fa.

Però no, questo non vuole essere un post di rimpianti e recriniminazioni.

No.

Se ora sono dove sono lo devo al mio passato.

E, che cavolo!

Io sono bravo.

Due su due.

Superati.

Autostima, per una volta, oltre il cielo.

Anticipazioni [di decisioni]

Sinceramente non sono tanto contento di aver passato il test, più ché altro perchè salta fuori una possibile scelta che implica l’abbandono del lavoro e l’abbandono di questa parziale situazione di indipendenza economica.
Rimango in attesa delle graduatorie di Arte&Messaggio, però so già che la scelta sarà difficile. Tanti mi dicono che devo scegliere quel che ritengo migliore per me. Come se ciò semplificasse le cose. Purtroppo non si tratta solo di scegliere il percorso scolastico che mi farà crescere professionalmente. Si tratta di decidere dello sviluppo che avrà la mia vita. E ora come ora sono accecato dalla voglia di fuggire da questa casa. E ciò crea un’ansia tremenda pensando ai tre anni minimi di Design, tre anni da passare a casa. Quindi mi viene da prediligere A&M (sperando di essere ammesso).
Però ho superato ora l’esame per cui, quattro anni fa, avrei dovuto impormi al divieto dei miei. E ciò fa riemergere il sogno a lungo abbandonato in un cassetto di una laurea in Design.
Sempre che, in questo mondo, una laurea serva veramente a qualcosa..

Pensieri (che mi tengono sveglio)

Oggi mi sentivo inutile.

Una volta lei era il genio, la creatività, la pazza con le idee. Io ero bravo e riuscivo a realizzarle. E funzionavamo.

Oggi lei è ancora geniale, creativa, pazza. Ma ha frequentato un’ottima scuola ed è diventata pure brava, bravissima. Prende, fa, disfa, pasticcia, gioca con le immagini, i font, i colori, gli effetti e gli strumenti.

Io, invece, tra leggi, numeri, formule e grafici mi sono perso, mi sono arrugginito e mi sono spento, sono rimasto indietro.

E oggi mi sentivo inutile.

E mi chiedevo che senso ha fare il test, che senso ha inseguire, illudendomi, una strada che non mi porterà da nessuna parte?

E così inizio a pensare. E a non capire. Cosa devo o non devo fare, quale sia la scelta giusta o la meno sbagliata.

E ho voglia di fuggire. Fuggire dalla situazione in cui mi ritrovo, fuggire da casa, fuggire da test.

E mi sommergo di cose da fare, per poter agire e non dover decidere.

Ma purtroppo per me, rimugino tutto, a fine giornata, sotto le coperte, tentando di dormire.

E si trasformano in incubi tremendi, che non mi fanno dormire: enormi massi bianchi cadono dall’alto mentre sto tornando a casa in macchina. Uno di questo masso cade davanti a me. Lo prendo in pieno e l’auto si schianta, con tanto di scena al rallentatore in cui la macchina si accartoccia su di me, schiacciandomi e soffocandomi sempre di più finchè, d’un tratto, non mi sveglio tutto sudato.

Dicono sia un solitario

Lo devo ammettere.

Ora mi sento solo, decisamente solo.

A casa a far nulla, a perdere tempo, indeciso se stare attaccato al mac, alla tivvù, al wii o giocare con l’iPhone.

Con Love in campeggio, i miei che rompono le scatole e stanno tentando di incastrarmi per il prossimo weekend per andare da qualche parte, ovviamente addossandomi la colpa di non essere mai a casa nel mio vagabondare da zingaro per via del lavoro, della vacanza in Grecia e della fuga (con litigata annessa) del 15 verso il lago, verso Love, la sua famiglia, i suoi amici.

Una giornata bella, allegra, tranquilla a dispetto del tempo che non prometteva e che ha fatto rimandare i fuochi d’artificio sul lago.

Ai miei non sono mai piaciute le sceneggiate, pagliacciate o come cavolo le chiamano. Odiano passare le feste, trascorrere le feste o anche solo altri momenti con gli amici, conoscenti, parenti, altri. Ma quello che non vogliono capire è che io non sono come loro.

Per quanto io sia sempre stato dipinto come timido, riservato, introverso e solitario, mi sento bene in mezzo agli altri. Mi sento bene in mezzo agli amici, parlando del più o del meno o anche solo stando in silenzio, osservando gli altri. Mi piace osservare gesti, smorfie, sorrisi.

Ho tratti di timidezza nel “primo approccio”, nel non riuscire a dire/fare cose che potrebbero essere “imbarazzanti” o “sbagliate” con qualcuno che non conosco (anche solo fermare un passante per chiedere informazioni), eppure non mi sento affatto riservato, introverso, solitario. Necessito degli altri per sentirmi vivo, capire che esisto. Mi piace parlare (di me) con gli altri, anche se a volte esagero, stordendoli (e la suocera ne sa qualcosa :P).

Però, ora, mi manca qualcosa.

Sarà la permanenza forzata tra queste quattro mura, sarà il pensiero che corre a vecchi amici persi per strada, per errori, litigate o anche solo per il naturale diverso sviluppo della vita. Voglia di alzare il telefono, mandare un messaggio, sapere come stanno e cosa combinano. Ma c’è anche la consapevolezza che il messaggio, la chiamata sarà qualcosa di effimero, che scompare, che non vorrà dire nulla. Non vorrà dire che tutto è ritornato come prima a sentirsi tutti i giorni, passare del tempo insieme, vivere insieme.

Gomitoli e matasse

Sono stufo e stanco. Molto stanco. Inizio ora a sentire la stanchezza di questi ultimi e dei precedenti giorni lavorativi e non vedo l’ora di staccare, prendere una pausa.

In questi giorni mi sento deluso, completamente deluso da certi colleghi, da coloro che mi stanno intorno per tutta la giornata lavorativa.

Veramente, sono pochi, in quell’openspace quelli che prendono sul serio il proprio lavoro. Responsabilità date a chi non se le merita e non fa nulla per meritarsele, se non demandare ad altri il lavoro, parlare al telefono (preferibilmente dell’ufficio) ininterrottamente con amici e parenti (possibilmente urlando). E, così, di persone, ce ne sono due.

Un menefreghismo totale su certi aspetti, l’incapacità di organizzarsi, di dare le priorità, di rispettare i propri colleghi o anche solo tenere un atteggiamento consono al luogo di lavoro. Che può pure informale e tutto quello che vuoi, ma usare certe volgarissime espressioni, sempre, ogni poco, urlando.. insomma, non è il massimo. Soprattutto se sei una donna.

Fortunatamente, per questo lunghissimo speciale estate, sto lavorando praticamente solo con i miei giornalisti. Riusciamo ad organizzarci bene il lavoro, riusciamo a coordinarci e l’uno – quando può – da’ una mano all’altro. E sono contento di come lo stiamo portando avanti. Credo stiano venendo fuori delle pagine veramente carine e ne sono soddisfatto.

Però capita che dopo tutta una giornata a curare lo speciale, ti giri e vedi l’uno e l’altra su msn, facebook, email, giochi e facciamo il test di Sex & the City, però è inglese, chi me lo traduce? e, insomma ti girano un po’. Perchè non è affatto la sbirciatina veloce per staccare un attimo. E’ – più o meno – la regola. E hanno pure il coraggio di lamentarsi che io non seguito alcune pubblicità che, insomma, se stavo facendo altro, potevano anche pensarci loro, visto che stavano giocando, no? E hanno pure avuto il coraggio di andare via, prima di me. Hanno dato l’ok per la stampa alla tipografia quando mancava ancora quella parte di controlli che di solito faccio io, ma che non avevo ancora fatto perchè stavo facendo altro. E no, non ci si comporta così.

Però, al di là della pura cronaca, queste cose mi danno veramente fastidio, mi fanno star male, ancora, anche se dovrei saperlo che lì dentro funziona così. Non esiste una seria gerarchia, non ci sono ruoli e compiti definiti, manca completamente organizzazione.

Uno dei miei giornalisti dice che sta sfruttando l’occasione per crescere professionalmente, più che altro nel senso di imparare a convivere con certi elementi.

Io, invece, per carattere, purtroppo, lascio correre le cose. Mi arrabbio, ho poi bisogno di sfogarmi e a volte sfogo tutto quello che mi tengo dentro con le persone sbagliate. Eppure, esternamente, sono mite e calmo. E questo, però, favorisce l’opera di certi personaggi, che credono di potermi mettere i piedi in testa facilmente. Ci hanno provato (e purtroppo, recentemente, ci sono anche riusciti). Però sto accumulando tutto. E prima o poi, sicuramente nel peggiore dei modi, esploderò.

E intanto, uscito dall’ufficio, sono rimasto a parlare un po’ con miei pochi ma buoni colleghi preferiti. E una cosa (di quanto scritto qua sopra) tira l’altra. Ci siamo confrontati ed è rassicurante perchè vuol dire che non sono io il matto che non capisce, che interpreta male le cose.

Però c’è una cosa che mi fa star male. Stavo pensando, di nuovo, a settembre e a quel che succederà. Con tutte le vicende giornaliere, mi si stanno visibilmente sgretolando le possibilità che avevo di realizzare il mio sogno: conquistare l’indipendenza dal nido materno e andare a vivere nella grande città.

C’è sempre stata la consapevolezza della difficoltà della scelta. Conciliare la scuola di grafica al mattino e il lavoro al pomeriggio sera si sarebbe rivelato piuttosto difficile. Avrebbe voluto dire rinunciare a molto, vuol dire rinunciare alle mie passioni, accantonare gli amici, probabilmente anche faticare a trovare del tempo per la persona che amo, in virtù di una cosa fondamentale per poter affrontare la giornata scolastica + lavorativa: il sonno.

Ora però si stanno aggiungendo anche forti dubbi a livello puramente economico: scuola + lavoro implica, per avere più tempo ed essere meno stressato, avere una minuscola stanzina a Milano. Affitto, spese, cibo da pagare, ai prezzi di Milano. Non vorrei dovermi trovare a vivere di stenti pur di arrivare a fine mese con uno stipendio che, alla fine, è quello che è (poi si dimenticano pure di pagare questo o quello).

Così partendo dalla difficoltà intrinseca della scelta stessa e aggiungendo sia i forti dubbi economici sia l’invivibilità dell’ambiente di lavorativo si arriva ad una lapidaria sentenza: è un suicidio. 

Sicuramente in caso di problemi ad arrivare a fine mese, la preferenza andrebbe alla scuola mentre il lavoro salterebbe (con un vaffa generale molto soddisfatto, probabilmente). Mi risveglierei di botto dal sogno dell’indipendenza diventato realtà per troppo poco tempo e sicuramente farebbe molto molto male.

Come al solito, dovrò fare una scelta. Come al solito, non ne sono capace.

Mi dicono che devo fare quel che ritengo giusto per me, quel che mi sento di fare. Ma cos’è giusto? Abbandonare direttamente il lavoro e rimandare di almeno due anni la libertà? Testare subito la libertà e distruggermi di studio e lavoro? Non riuscirci e vedere fallire miseramente il mio progetto?

Non sono capace di chiudermi il passato alle spalle. Io rimugino, rimugino e rimugino. E ciò su cui più rimugino è me stesso. Mi guardo dentro, vedo una matassa imbrigliata e non vengo a capo di nulla. Sono un gomitolo di rimorsi per quanto non fatto, di rimpianti per quanto perso, di rabbia per gli errori commessi.

Questione di (auto)limitazione e fiducia reciproca

Argomento spinoso.. e capisco come si possa sentire il Gatto.

E, sinceramente non so neanche se mi conviene scrivere qui certe cose, visto che qualcuno (fiu fiuuuu) legge. E abbiamo visioni un po’ diverse su certe cose. E non vorrei che questi miei pensieri abbastanza sconclusionati possano creare qualche problema. Ma siano, invece, uno spunto per costruire qualcosa, per ragionare a vicenda sui rispettivi caratteri e sul modo di sentire e percepire il medesimo avvenimento. E di crescere, col confronto.

Perchè io, sostanzialmente, sono per la “non limitazione” dell’altro e, di conseguenza, per la “non limitazione” di me stesso. Sì, esatto. Questo principio è proprio da leggersi come un “fai pure tutto quello che vuoi”. Io mi fido di te. E ciò è possibile solo perchè io ti amo e tu ami me, perchè abbiamo costruito tra di noi qualcosa che è veramente importante.

Un incontro con un ipotetico terzo non lo vedrei come motivo di stare male o essere geloso, perchè rientrerebbe nel discorso di fiducia di prima. Io ti amo e tu ami me, quindi con questo terzo tu non faresti nulla che non dovresti fare. Anzi, neanche. L’idea che tu, Amore, faccia qualcosa che non dovresti fare, è esclusa a priori, visto che ci amiamo e io mi fido di te.

Ma se poi, con questo terzo, ci fai qualcosa, allora è un problema. E’ però un problema tuo, non mio. E’ tuo, perchè allora vuol dire che non mi ami veramente. E’ tuo, perchè vuol dire che tu sei stato scorretto nei miei confronti. E allora, solo allora, credo di essere in diritto di stare male, essere arrabbiato.

Certo, questo è il mio principio di massima. Ed è altrettanto ovvio che poi tutto dipende dalle altre variabili.

Perchè, ad esempio, so che tu, al contrario di me, stai male in certe situazioni. E cerco quindi di agire di conseguenza e non far succedere certe cose che so che ti possano far star male.

Cose che so.. sapere.. Ma come faccio a saperle? Come faccio a sapere cosa ti urta?

Credo sia possibile solo con l’esperienza, con il conoscersi reciprocamente. Ovvero vivendo, essendo se stessi, essendo una coppia, sbagliando, sbagliando senza sapere di stare sbagliando.

Il brutto degli sbagli che fanno stare male l’altro è che l’altro deve dirtelo, deve fartelo sapere o tu devi riuscire in qualche modo ad accorgertene. Per poter chiedere scusa, per rimediare all’errore e per imparare dall’errore stesso. E la prima cosa che si impara è di non sottovalutare o essere superficiale su azioni, fatti, progetti, idee, desideri e speranze che invece sai (perchè l’hai scoperto sbagliando) che sono importanti per l’altro.

Prima ho volutamente puntualizzato sbagliando senza sapere di stare sbagliando. Perchè il caso dello sbagliare sapendo di sbagliare rientra nel discorso di fiducia di prima. Io ti amo e tu ami me, quindi non puoi sbagliare (e farmi male) sapendo di sbagliare (e di farmi male). Anzi, neanche. L’idea che tu, Amore, sbagli (facendomi male) sapendo di sbagliare (e di farmi male), è esclusa a priori, visto che ci amiamo e io mi fido di te.

E allora, se tu sbagli sapendo di sbagliare, è un problema. E, come prima, è un problema tuo, non mio. E’ tuo, perchè allora vuol dire che non mi ami veramente. E’ tuo, perchè vuol dire che tu sei stato scorretto nei miei confronti, sapendo di esserlo. E forse vuol dire che le cose dovrebbero un po’ essere messe in discussione.

Tornando invece al discorso generale, volevo evidenziare un’altra variabile. E’ quella dello stato della relazione, lo stadio in cui si trova. Se è appena nata, se vegeta in qualche modo, se si avvia ad un misero declino.

Poniamo il caso che ci sia conosciuti da poco, che la relazione (o come la vuoi chiamare) si trova proprio all’inizio, che sta muovendo i primi passi. Poi una vacanza programmata da tempo e qualche chilometro di distanza. E poniamo il caso che tu, che sei ancora nella grande afosa città decida di uscire con un altro, dopo aver condiviso, in questi primi giorni, un sacco di bei momenti (intimi, tra l’altro e non solo!).

Beh, sinceramente.. ma che cavolo ti viene in mente? Guai a te (e dico guai a te!) se esci con Tizio Caio Sempronio solo per una birra e solo per fare quattro chiacchiere punto e basta, e comunque lui sa che ci vediamo.

E io, sinceramente, col cavolo che me sto zitto!