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Alti e bassi

Succede che dopo una giornata del genere dovrei essere solo felice.

Succede che dopo una giornata del genere dovrei arrivare a casa e andare a letto.

E invece succede che finisco davanti al Mac a sistemare alcune cose di lavoro. E l’occhio cade su facebook e sulle innumerevoli foto pubblicate.

E scopro di amici a cui tenevo e tengo tutt’ora con cui però son successi casini e con cui vorrei tenere rapporti, anche se poi non ci si vede più di tanto, che si sono trovati, cenato assieme, scambio di regali. Belle foto, foto di allegria e spensieretezza. E mi manca. Mi manca non averla potuta condividere con loro. Perché forse loro magari sanno che a loro alla fine ci tengo e che vorrei essere coinvolto nelle loro attività, però ormai non so più come fare, quando vederci, come entrare nel gruppo, come non rimanere indietro rispetto al bellissimo rapporto che sono riusciti a costruire tra di loro.

E la cosa mi fa male e mi ferisce, soprattutto in una notte in cui, in realtà, dovrei essere solo felice.

Potere dello stop motion

Io, sinceramente, sono sbalordito. È bellissimo!


This Is Where We Live from 4th Estate on Vimeo.

La 4th Estate, casa editrice indipendente rilevata otto anni fa dalla Harper Collins, compie 25 anni. Questo filmato, realizzato dagli Apt Studios, ne celebra i successi e la storia. Tutto in stop motion. Tre settimane di duro lavoro in cui son stati ‘usati’ centinaia di libri. Il risultato è qui sopra.

Via Madmark via psiko

Questo non è un post

Giornata decisamente interessante.

Per la compagnia, per la mostra, per il freddo, per Javier Marín.

Sulla mostra di Magritte, beh, nulla da dire, a parte l’interminabile coda. Eppure c’è stato tutto il tempo di fotografare i cavalli di Marìn, messi proprio lì di fronte a palazzo reale. Una serie di 3 gruppi di statue, in resina (credo), raffiguranti cavalli e cavalieri, leggermente storpiati. E vederli in quella strana situazione, tra polizia municipale veramente a cavallo, camionetta dell’esercito e un sole che illuminava di rosa la parte superiore del Duomo è stato veramente strano.

Ovviamente nella mostra non c’erano i pezzi forti. Ma mi è piaciuta. Ci siamo presi il tempo che ci serviva per guardare i quadri, leggerne le etichette, capire le scritte sui muri. Un’organizzazione della mostra non cronologia per soggetti, che faceva quindi perdere il concetto di tempo. Poche, quasi nulle, le spiegazioni, tranne scritte bianche sulle pareti grigie. E fermarsi davanti a quadri e dire cavoli che bello, anche questo è fantastico. Perchè tra piante che diventano colombi, donne che diventano statue del cielo, foglie che sono alberi non c’era altro da fare che evitare di capire e rimanere ammaliati. I giochi dei colori, i soggetti che diventavano sfondo, le tende impossibili. Bello bello bello.

Su flickr, le foto della giornata. E no, questo non è un link.

Cercavo una foto di un quadro che adoro. E da Google è saltato fuori questo. Come non postarlo?

 

Brividi. E voglia di leggere.

Pensava spesso al suo suicidio. Ed altrettanto spesso ci provava. Ma di solito sbagliava sempre qualcosa: una dose, un luogo, un’ora, la quantità di coraggio al momento decisivo. Ogni volta che ci pensava e ogni volta che ci provava, era solita mettere un sasso in un sacco decorato che le aveva regalato suo padre, e lo conservava in un angolo della stanza. Quel sacco rappresentava il senso della sua vita. Quella che si era concessa.
Tentava il suicidio ogni dieci giorni. Tre volte in un mese. Trentasei volte l’anno. Da ormai sei anni. Aveva sbagliato duecentoquindici volte.
Quella sera i sassi sarebbero diventati duecentosedici. Un sacco pieno. Stracolmo. Tanto pieno che non ci sarebbe entrato neanche un altro sasso, un altro tentativo. Un’altra possibilità, altri dieci giorni. Fu così che se ne rese conto. Di se stessa, della vita, dei suoi tentati suicidi, di quello che fino ad allora aveva ignorato. E capì cosa avrebbe dovuto fare.
Si mise la giacca, varcò la soglia portando con sé il sacco. Lo spinse lungo le scale. Poi lo trascinò lungo il vialetto, fin verso la scogliera, quella che ogni giorno guardava dalla finestra. Respirò l’aspro profumo del mare, e poi, sicura di sé, lo lanciò verso il fondo.
-Ho sempre sbagliato tutto – pensò ad alta voce – ma dagli errori s’impara.-
La sua voce sfumò mentre il peso del sacco la portava sul fondo degli abissi.

Scritto da Manila Benedetto e incluso nella raccolta di brevi racconti “Rac-corti” a cura di Andrea Careri per LAB di Giulio Perrone Editore