Ho finito Heavy Rain, in pochissimo tempo. Praticamente in due giorni, da quando è arrivato.
E se non lo giocate, non potete capire: un tragico evento che ti catapulta nel vivo della storia, il batticuore, i dubbi, le domande, le scelte, il senso di ansia perenne dato da questa pioggia incessante che continua a cadere, scandendo il tempo.
Il fatto è che Heavy Rain ti tratta sia come spettatore sia come giocatore: i dubbi e le domande sono sì dovute allo svolgersi della trama, ma la forza narrativa di questi stessi dubbi e domande vengono fuori proprio quando si interagisce con il gioco e bisogna operare delle scelte, influenzando lo sviluppo della trama e del gioco stesso. E questo genera meccanismo dipendenza, genera la necessità di sapere subito, ora, adesso come andrà a finire.
Ma una volta finito, appare la necessità di rivivere le stesse scene, ritornando sui propri passi e provare a cambiare qualcosa. Prendere decisioni diverse e subirne le conseguenze. Rivivere le stesse scene significa attribuire nuovi significati a gesti e movimenti. Significa pensare al destino beffardo creato dagli sceneggiatori o a quanto profetiche si riveleranno determinate frasi e parole. E ogni volta è un nuovo colpo al cuore, un cambio di prospettiva che spiazza.
E come sintetizza perfettamente Federico su Insert Coin:
Indeed, the real game starts when you finish it the first time. Then, the true core mechanic shows up. It’s all about exploration. Exploration of a non-physical space, but of sides and possibilities of a story.