Tra un portata e l’altra se ne salta fuori con qualcosa tipo “l’altra sera mi ha sentito piangere… anche le madri hanno momenti di sconforto… ma bisogna essere rispettosi dei sentimenti”.
Ovviamente con il suo solito tono da arrabbiata, da ho ragione solo io e tu sei (e mi fai) schifo.
E, la cosa, ovviamente mi ha fatto arrabbiare.
Da che pulpito viene la predica!
Pretende rispetto! Rispetto per cosa? Per le belle parole che mi ha detto? Per come si è comportata in questi ultimi mesi? Per come non rispetta me, i miei sentimenti, le mie scelte, il mio essere?
E, ovviamente, ho finito lì il mio pranzo. Dopo il primo.
Perchè a me, in quei momenti, mi si chiude lo stomaco e non riesco a fare altro che non assistere ai pensieri che cozzano, impazziti, dentro la mia testa.
spiegarle chiaramente una cosa alla volta?
del tipo che a discutere di queste cose mentre mangiate, ti fa star male, fisicamente, da non riuscire più a mangiare.
e semmai chiederle se per lei non è lo stesso.
e magari, forse, stabilire una specie di “tregua rifornimenti”, dato che forse non è il caso tu ti metta pure a saltare i pasti.
così, puramente, semplicisticamente, per poter chiarire che certe necessità “fisiologiche”, quali l’alimentazione, non andrebbe interrotte.
senza alcuna valutazione dei contenuti, o delle posizioni, tue o sue.
ma solo sulla necessità naturale primaria del cibo.
meglio se mangiare assieme, magari non in silenzio, ma piuttosto parlando di cose futili, inutili, scontate e banali. del tempo, del caldo e del freddo, della pioggia, della neve, del meteo.
della rana che in spagna gracida in campagna.