L’avevo sentita piangere, dall’alto, mentre io ero giù in camera.
Così, piano, evitando di fare rumore, senza ciabatte, son salito, per tentare di capire cosa fosse successo.
Ogni scalino che facevo, sentivo il suo pianto sempre più forte, disperato, giungere da dietro la porta chiusa della sua camera.
E il pianto, il singhiozzo, le parole che non riuscivo a comprendere, le parole di lui per tranquillizzarla, per calmarla, per capire cosa fosse successo.
Poi, poco a poco, il pianto si fa sempre più debole, finchè lassù, in corridoio, sento solo il tic tac delle lancette dell’orologio della cucina del piano inferiore.
Rimango comunque lì, immobile. Mi siedo, appoggiandomi allo stipite della porta. Dal basso, la luce di camera mia lasciata accesa delineava le forme della scala.
E a parte l’orologio, era tutto silenzioso. I piedi erano sempre più freddi, a contatto con il pavimento.
Finchè poi, la sua voce.
Non più tremante e singhiozzante dal pianto.
Ma ferma, come se in quegli attimi di apparente tranquillità , avesse preso una decisione.
Sì. Ha preso la stessa decisione che io ho già preso settimane fa.
Ha deciso che noi, per lei, non esistiamo più, proprio come io, settimane fa, avevo deciso che loro per me non sarebbero più esistiti, almeno finchè le cose non cambiavano.
E così, se mentre la sentivo piangere avevo schifo per quel qualcosa che mi paralizzava, mi bloccava dall’aprire la porta della camera e dal correre ad abbracciarla, ora, sentirla pronunciare queste parole, mi faceva arrabbiare. E molto.
Perchè le sue parole dimostravano ancora una volta di non aver capito le mie ragioni, il motivo della mia scelta. Come se mi divertissi a fare così, come se lo facessi per gioco.
Perchè volevo solo entrare, urlarle con tutto il fiato che avevo in corpo che era una stronza, che mi aveva rovinato la vita e ancora continuava a rovinarmela e che la odiavo, che non mi fregava più nulla che io per lei non più nessuno, visto che lei, per me, aveva cessato di essere qualcuno già da prima.
Ma non l’ho fatto. Sarebbe stata la rabbia a parlare. La rabbia di non sentirmi bene, di non sentirmi voluto e accettato, la rabbia di non poter essere me stesso tra queste quattro mura.
E così sono rimasto in corridoio.
Fermo, zitto, paralizzato.
Avvolto nel silenzio.
Il silenzio di una famiglia che lentamente, giorno dopo giorno, si sta distruggendo.
E in quell’immobilismo, solo un’azione, prima di tornare in camera.
Prendere la porta del corridoio e chiuderla, sbattendola, alle mie spalle.
Per far presente che c’ero anch’io, per sfogare un po’ la rabbia, prima di tornare in camera, chiudere il libro, scrivere queste righe per il mondo e cacciarmi sotto le coperte a piangere, piangere e piangere.
Mi sembra stupido dirti di esser forte.
Purtroppo la situazione è questa. Ma sei un ragazzo intelligente, sei uno pieno di capacità , sei una persona per bene.
Direi che te la caverai. Forse, fra qualche anno, capiranno anche i tuoi genitori.
ho letto solo ora
🙁
“Ha deciso che noi, per lei, non esistiamo più, …”
perché al plurale?
So che non sembra possibile, ma mi sembra di vivere istante dopo istante le tue sensazioni ed il tuo dolore. E sto male anch’io.
Posso solo dirti come Gatto Nero che te la caverai; e che nulla è mai definitivo, nel bene come nel male.
E che hai almeno la fortuna di non dover affrontare da solo questi momenti. Un abbraccio ad entrambi.
una gran fortuna dover affrontare questa brutta situazione in dolce compagnia… per questo devi essere contento.
sono d’accordo con gattonero e gan te la caverai e diventerai sempre più forte… cerca di non diventare acido a causa di questo rifiuto, in fondo il problema più grande l’hanno loro… non vogliono conoscere loro figlio… un’anima BELLISSIMA!!! mille baci
Sottoscrivo tutto quello che hanno detto quelli qui sopra.
Coraggio, non sei solo (vuol dire che hai seminato bene!), continua a cercare la tua strada, solo una maggiore distanza fra te e loro sarà di aiuto per capirsi meglio.
Un bacino,
solo quello…
tutto ciò che pensavo l’hanno già detto qui sopra.
:*