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Dell’osceno e ridicolo giro pizza

Alla fine siamo andati nel solito posto. Quello che fa il migliore giro pizza in tutta la zona ad un prezzo più che accettabile.

Solo che si è trasferito in un nuovo locale, enorme e veramente bello, a dispetto di come era prima. La classica piccola pizzeria da paesello con 4 tavoli in croce.

Arriviamo e già iniziano i dubbi: esibizione di Celentano2, famoso (?) coverista che vanta numerose serate all’attivo nel cincondadario.

Ci portano di sopra, dove c’è la nostra tavolata, quella di 4 signori anziani e quella dell’enorme fan club dello pseudo cantante.

Inizia la musica a tutto volume, unz tunz. Roba che non riuscivamo neanche a parlare tra vicini.

Servizio pessimo, con un cameriere antipatico che non si segnava le ordinazioni tranne poi dimenticarsele di segnarsele e dovevamo ricordarci noi di chiedere che fine aveva fatto l’ordine.

Pizzaiolo che non aveva voglia di sbattersi e quindi ci arrivavano 2 teglie di pizze, entrambe dello stesso gusto. Una cosa MAI vista. E dire che da loro c’erano almeno 4 gusti diversi per volta, molto variabili e spesso ci chiedevano suggerimenti per cosa volevamo. Questa volta nulla. Abbiamo chiesto di avere le pizze diverse, almeno a metà, ma no, il pizzaiolo non ce la fa a stare dietro a tutti, ci son troppi giri pizza. Dove, lo sapeva solo lui.

Poi Celentano2 ha iniziato a cantare. Roba tipo “attenti al lupo”, “fuoco nel fuoco”, “sarà perché ti amo”, “mambo nr.5”, “io vagabondo”. Poi un mini momento karaoke con alcuni del suo fan club, poi balli scatenati, bah.

Nel frattempo, ci arrivavano birre e lattine di coca che mai avevamo chiesto. Una volta ok, la seconda volta bah, alla terza abbiamo bloccato il cameriere, che anche se finiamo la coca/birra, al massimo ci chiedi se vogliamo altro, non è che ce ne porti una, giusto?

Poi il teatrino. Arriva il cameriere antipatico. Chiede chi ha prenotato e domanda se sapevamo come funzionava. Crediamo che ci stesse prendendo in giro, che so, che magari si doveva cantare col Celentano o robe del genere. Invece no. Inizia a dire che costa 15€, forse 20€ (eh?! Abbiamo sempre pagato sui 12€, mangiando sempre tantissimo!), ma che non sa. Che c’è una bibita a testa inclusa, ma che non sa se ci siamo stati dentro, ma lui crede di sì, però vabbè, che gli amari sono esclusi, i dolci sono esclusi, i gelati dono esclusi, ma i caffè sono inclusi. spazientiti per quello che ci sta dicendo, per il tono usato, alla fine tagliamo con un “guarda che paghiamo quello che c’è da pagare. Portaci il conto e ci arrangiamo noi.

Dopo minuti e minuti, il nulla. Chiediamo ad un altro cameriere. Questo scende e in neanche un minuto è da noi con il conto e la quota singola: 14€ a testa. No comment.

Raccogliamo i soldi e andiamo in cassa. Battuta sul fatto che ci hanno fregato con Celentano2. Lamentela sul giro pizza ben poco giro. E racconto delle parole del cameriere. Questa sorride, sorrisone e ci dice che lavorando anche per un altro ristorante, magari il cameriere di è confuso. Ma sorrideva. Uno di quei sorrisi “quello lì ora lo strozzo”.

Speriamo l’abbia fatto

Lichtestein + aperitivo @ Triennale Milano

E alla fine, chissà come, siamo riusciti ad organizzare la serata aperitivo + mostra in Triennale.

Un po’ troppe le defezioni, ma pazienza. Non si poteva più rimandare.

E dopo una giornata del genere, ad impazzire ed arrabbiarsi nel lab di movie design, ci voleva una serata del genere, in buona compagnia e a ridere. A, sì, anche ad acculturarsi.

Prezzo di ingresso conveniente (13€ per aperitivo + 3 mostre). Peccato per i posti finiti subito e per il buon Maurizio che è rimasto praticamente senza sedia (e genio anche io che non mi è mica venuto in mente di chiedere per tempo alla cameriera se c’erano altre sedie. Doh!). Peccato per il cibo, praticamente irraggiungibile (vista la coda) e composto da poche cose e scotte. Eppure mi han sempre parlato bene degli aperitivi in Triennale, boh! Però almeno il cocktail era buono.

E poi, c’era la mostra. E la compagnia.

Una mostra che ignorava completamente la produzione più famosa di Lichtenstein, i fumetti, dedicandosi invece ad altro, e rendendo praticamente inutile quel poco che sapevo proprio sui “suoi” fumetti. Una mostra che, ovviamente, abbiamo girato nel verso sbagliato, creandoci qualche piccolo problema.

Comunque interessante e bella, con i soliti appunti sul fatto che le targhette dei quadri potrebbero anche essere scritte con un font di carattere maggiore e magari indicare anche un paio di informazioni, tipo: questo quadro è la copia di… e che le descrizioni delle stanze potrebbero pure abbandonare questo linguaggio aulico incomprensibile ai più, visto anche ci di critici d’arte fVancese ne giravano in abbondanza.

Da sottolineare alcune espressioni topiche di alcuni avventori della mostra: partiamo dal “caVa, a casa poi ti devo faV vedeVe un catalogo di una mostVa fVancese”, pronunicata dal famoso critico d’arte già citato, al “questo quadro è troppo rosso e nero” della donna con minigonna muccata.

Da ricordare inoltre la notevole figura fatta da 3 che non nominerò, beccati in pieno mentre fissavano (e commentavano) delle orribili scarpe rosse di una tizia.

Quindi, ecco, quella che era una serata Milano Educational si è trasformata a tratti in Milano Diseducational. E direi che ci siamo pure molto divertiti.

Da ripetere, assolutamente.

Che altre mostre ci sono, a Milano?

Il mio grosso grasso finto compleanno greco

E alla fine, sono riuscito a fare, con settimane di ritardo, una mini festicciola di compleanno.

Con giusto qualche personcina 2.0 a cui tengo veramente molto e che ammetto di apprezzare sempre di più ogni volta che le incontro.

La cena, al ristorante greco Esperides di Milano, è andata piuttosto bene.

Chiaccherato un bel po’, bevuto ottimo vino rosso (e dire che il vino rosso non mi piace. Eppure ho bevuto solo quello, neanche un goccio d’acqua) e soprattutto mangiato tanto ma tanto tzaziki + pita. Talmente tanti che poi stavo scoppiando e non riuscivo neanche a finire il gyros.

E poi, vabbé, il momento regali:

Un fantasmino pulisci schermo e tastiera. Utile e carinissimo, oltre che perfettamente intonato con le Creatures che già abitano sulla mia scrivania (purtroppo non ho trovato foto più grandi):

Batman il film, edizione restaurata in blueray 1080p e audio DTS. Film in realtà mai visto, ma che mi gusterò con piacere una di queste sere:

Up! in edizione doppio blueray (non capisco proprio come hanno capito che lo necessitavo):

Ed infine la chicca: Frasario per giovane designer di Roberto Marcatti. Molto molto molto carino. E ringraziamento speciale, visto che ha comunque pensato a me anche se non è riuscita a venire alla cena 🙂

Che altro dire?

Grazie ancora a tutti per la serata.

Alla prossima 🙂

Toccata e fuga

Padova.

L’acqua, tanta e troppa.

Una lunga coda per un “avanzare, gente, avanzare”.

Il pranzo, i nipotini, l’acqua tanta e troppa.

La cara Miss Marple e il giro per Padova e i negozi e la cioccolateria, il tram che andava nonostante lo sciopero, l’acqua tanta e troppa.

L’ottima cena in tre, Farmville e le due puntate più lunghe della storia delle desperate.

La stanchezza tremenda, il letto viola comodissimo e il sonno che è arrivato subito.

Il risveglio, con calma, le chiacchere, l’attesa per gli altri ospiti e il superbo pranzo in cinque.

Il viaggio in stazione, vedendo altro di una Padova che mi piacerebbe vedere ancora e ancora.

Il bigliettaio che confonde nome e cognome.

Il regionale e la sua massa di avventori sullo stesso binario del Freccia Bianca, l’ansia e il treno in perfetto orario.

I saluti agli amici e due giorni che sono girati.

Momenti

Momenti in cui è molto più facile rincorrere un treno sicuramente perso che non tirare fuori delle parole di bocca per espimere anche solo una minima parte del groviglio di pensieri che si è creato in testa.
Momenti in cui la più comoda interpretazione di un “non ti preoccupare te li passiamo noi” vacilla e ti dai del cretino perché l’interpretazione corretta è un “cazzo, collabora anche tu”.
Momenti che ti trovi dannatamente a disagio per il tono giustamente scocciato.
Momenti che quelle parole comunque fanno male, perché gli anni sono passati e queste cose mai vissute spiazzano.
Momenti che quel “alla fine lo sapevi, visto che siamo assieme tutto il tempo” fanno riemergere la solita vecchia paura dell’essere insieme ma forse non è così.
Momenti che pensi che forse sei solo profondamente stupido. O che ti servirebbero dei sottotitoli per decifrare cose a quanto pare chiare e invece completamente oscure.
Momenti che a volte, almeno qualche volta, fa comodo essere aiutati, ma a volte non è possibile o comunque non è corretto.
Momenti che dici che a volte sarebbe utile saper dire basta e porre un limite alle cose piuttosto che affogare.
Momenti che ovviamente capitano con un tempismo perfetto e una decisione presa per semplici motivi di comodità e stanchezza passi per ben altro. Che forse un po’ è, ma non in maniera così rilevante come può apparire.
Momenti che in realtà l’unica cosa che vuoi fare è scoppiare a piangere, ma qualcosa ti impone di aspettare almeno di voltarti e scendere le scale.

Post scriptum

Non è che voglio essere asociale, antipatico o non considerarvi più.

È solo che vi leggo su un treno e l’altro, dal Reader sull’iphone, quando non sono talmente stanco da riuscire a dormire in piedi o talmente indietro da dover lavorare col mac.

Quindi, ecco, commentare mi diventa molto molto molto faticoso.

E poi, scrivete troppo.

E vedere il counter salire e tendere al 1000+ mi mette ansia.

Beh, non quanto gli esami, ovvio.

Su ieri sera

Ieri sera: cena di Natale per salutare il ritorno in patria di due amici dopo mesi di Erasmus in Danimarca.

Eppure non mi son divertito troppo.

Troppe persone (anche se ci sono sempre a quelle feste), assenza di alcune di quelle poche persone con cui parlo e comunque non sono neanche riuscito ad inserirmi nei discorsi degli altri, per un motivo o per un altro.

Forse non capisco perché ancora mi ostino ad andarci, visto che al 90% sono gli amici del basket di lui, che conosco ormai da anni di vista dopo feste su feste però alla fine non c’è mai nulla di cui parlare.

Poi, c’era lei completamente ubriaca. E mi è dispiaciuto, perché dopo mesi che non ci vedevamo mi avrebbe fatto piacere parlare di altro, da sani.

Forse è il caso di dirlo. Andare alle feste significa anche capire quando è il momento di andarsene.

via Rano83

A Natale sono (quasi) tutti più buoni

E sono qui, ancora sveglio.

Sto finendo di ripassare un libro ai limiti dell’assurdo, con errori di grammatica, sintassi, virgole messe a casaccio che separano il soggetto dal verbo, verbi non concordati con i soggetti, errori di battitura, uso creativo di parentesi e trattini. E sbagliano persino i nomi propri di prodotti e servizi: i-phone, FaceBook, Blog Spot.

La cosa peggiore sono però i contenuti.

Pagine e pagine di fuffa inutile, che ovviamente non mi vuole entrare in testa.

Poi, dopo l’esame di domani, bisogna pensare alla revisione di martedì, comprare gli ultimi regali, trovare il tempo di andare a tagliarsi i capelli e rendersi presentabile entro martedì sera, per la Cena di Natale organizzata dai Danimarchesiâ„¢ di ritorno in patria dopo 6 mesi di freddo e di Erasmus.

Nel frattempo mi sono comprato il mio regalo di Natale. E sto tenendo d’occhio altre offerte per farmi altri 2 possibili regali, anche se uno necessita dell’itervento dell’Architetto per poter essere effettuato.

Per il resto fa freddo, c’è la neve, il Comune si è dimenticata della mia via, tanto che è diventata un’unica pista di pattinaggio su ghiaccio. Vedrò domani mattina quando dovrò uscire. Già temo, visto che si aggiungono altre difficoltà al dover affrontare mamme e papà con SUV ed altri macchinoni che devono portare i pargoli a scuola. E non si rendono conto che se parcheggiano davanti ad un cancello automatico che si sta aprendo, forse dovrebbero spostarsi, non arrabbiarsi se suono quando rimangono fermi fregandosi del fatto che devo uscire.

Per il resto fa freddo ed ovunque imperversano le decorazioni led da esterno Iper. E non mi piacciono, perché emettono una tonalità di bianco così freddo che mi rendono triste. E invece no. Non deve essere così. Perché a me il Natale non piace. Per tutta una serie di motivi, per come l’ho sempre vissuto (male) negli anni passati, ormai il Natale non mi piace proprio. Però, in mezzo a questi sentimenti di ilnatalenonmipiace, trovo rasserenante tutte le lucine appese a alberi e balconi, colorate, luminose e lampeggianti. Mi trasmettono un certo senso di tranquillità, calore e felicità. E invece no. Quest’anno tutti hanno queste lucine a LED, rispettose dell’ambiente ma irrispettose di me stesso. E quando le guardo mi sento anche io freddo e triste.

Poi, ironia della sorte, mio padre oggi è tornato a casa con proprio quel set di 100 lucine led da esterno. 9,90€, all’Iper. E questo è il primo anno che mettiamo le decorazioni agli alberi in giardino, queste decorazioni fredde e tristi. È il primo anno dopo aver passato tutta l’infanzia, quando ancora credevo nella magia del Natale, a volere delle luci da esterno sul pino, quello alto altissimo che superava persino il tetto della casa e che ora mi sembra che non ci sia più. O forse è solo stato notevolmente tagliato. Non ricordo.

E ora la mente sta pure viaggiando avanti e indietro.

Ho iniziato ad odiare il Natale quando non l’ho più passato con la famiglia allargata. Finita la scuola andavamo a Varese dalla Nonna. E stavamo lì. E a Natale era bello. Il pranzo preparato dalla nonna e poi tutti a casa dello zio, con gli altri zii, i cugini e qualche altro parente di parente. E i giochi, e il gioco della torre e l’invidia dei cugini che avevano il conto al Credito Varesino e a loro regalavano i soldi man mano che depositavano le varie mance. E invece i miei soldi/regali sparivano in bot o obbligazioni, delle cose brutte e che non potevo certo portarmi a casa e giocare. Poi giocavamo al mercante in fiera e mi piaceva, anche se ora non ricordo più le regole. E poi la tombola, il caldo del camino dello zio e il loro bel presepe.

Poi basta, è successo che la nonna ci ha lasciato, i cugini sono cresciuti e il ramo milanese della famiglia si è allontanato da quello varesino, rimasto più compatto. E Facebook ora non è neanche di aiuto, che nessuno ce l’ha. E non ho neanche numeri di cell o email, per dire.

E così sono iniziati i Natali in tretudine, senza regali, senza gioia e felicità.

E ho smesso di divertirmi a fare il presepe, di attendere con ansia l’8 dicembre per iniziare le decorazioni, ho smesso di accendere tutte le sere le luci e fissare inebetito l’albero e vedere le diverse intermittenze delle catene luminose intrecciarsi tra di loro e creare giochi di luce e di ombre sulle pareti.

Poi però non si dice, ma nel frattempo si è aggiunto un altro ramo di un’altra famiglia alla mia vita. Con gli n-mila componenti, la voglia di stare insieme, e le cene, e i pranzi e l’allegria e i bimbi che urlano e i genitori che li sgridano senza successo e le risate e la ciacola continua.

E la cosa stride notevolmente con la mia famiglia, quella della non sopportazione del convivio perchè “non siamo fatti per queste baracconate”. E veramente, non comprendo come facciano a vivere bene, da soli con loro stessi, senza avere amici da frequentare e sentire e vederci e pranzare e ridere e scherzare. Senza vedere i loro fratelli e le loro sorelle, anche se è una cosa che non capirò mai visto che sono figlio unico.

E mi fa arrabbiare, perché invece io sono ormai diventato (o sono sempre stato?) l’esatto opposto. Perché io da solo con me stesso da solo non ci sto affatto bene. Che ho paura della solitudine e sento il bisogno di avere sempre qualcuno intorno.

Ed in realtà questa conclusione non ha neanche senso, ci sarebbero altre cose da dire, ma me le son perse per strada, sulla tastiera e tra le righe.

Eppure il libro è qui aperto e mi aspetta.

E c’è pure il caldo tentatore del lettino.

Boh, vabbé, domani si vedrà.

Mal che vada ci si sente il 22.