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Oggi: acquisti

Una stancante giornata a Milano.

Due diversi compagni di shopping.

Un po’ con fini universitari, molti negozi visti, tante strisciate fatte (anche al McDonald’s, ovviamente), molte strisciate volute ma non portate a buon fine.

IMG_0142Nell’ordine:

  • Japanise Graphics Now! ed. Taschen
  • Carcassonne, Abbazzie e Borgomastri. Se non sapete cos’è Carcassonne, vergognatevi. Correte alla più vicina ludoteca con un gruppo di amici e scopriterlo
  • Happy Birthday carillon con lcd da cancellare e candelina incorporata
  • e infine lei, la Lumaca trainabile (amore a priva vista) che sarà oggetto di rimodellazione e animazione 3D nel Laboratorio di Computer Grafica

Nonna & Diva 2009 Educational

Sinceramente, c’è troppo da dire di questi 3 giorni in quel di Padova/Venezia.

Quindi non so se riuscirò a scrivere un post sensato.

La prima tragedia con i treni arriva salendo sul regionale che ci porta a Milano. Caldo, puzzolente, con i sedili lerci. Mi ha fatto già rimpiangere di non essere partiti in macchina. Fortuna che poi il trasbordo sull’Eurostar a Milano mi ha fatto ricredere, seduto comodo, con una presa a cui attaccare l’iPhone e con una temperatura decente. Tale eurostar, su cui abbiamo incontrato Ribaldo, arriverà poi a Padova con 38 minuti di ritardo, su 125 previsti di viaggio.

A Padova ci accoglie l’Anziana Miss Marple, che ci porta subito sul favoloso, silenzioso e congelante tram azzurro. E’ ormai sera, quindi vediamo una Padova buia e silenziosa, ma non passa inosservato il monumento dedicato all’11 Settembre di Daniel Libeskind.

La casa del nostro ospite è come dovrebbe essere: mobili antichi, alcuni impreziositi con splendidi lavori di decoupage, collezioni di scatole di latta (twinings!) un po’ ovunque. E quella meravigliosa camera da letto padronale con il copriletto (di un letto comodissimo, tra l’altro!) viola.

Inutile dire che l’Anziana si è prodigata per noi in cucina e ha preparato delle delizie.

Serata in casa a ciacolare finché non sono più o meno stramazzato nel letto, fino alla mattina dopo.

Partenza per Venezia, con incontro combinato sul treno con Edgar. Siamo quasi in dirittura d’arrivo a Santa Lucia quando vediamo, sul treno vicino al nostro, un Poto spiaccicato sul finestrino. Chissà, magari stava aspettando qualcuno…

Intravedo da lontano il ponte di Calatrava (che nessuno mi ha portato a vedere da vicino, e vi informo che me ne ricorderò a vita!) e poi corriamo verso il cuore della città, alla ricerca di un posto conosciuto dall’Anziana in cui sfamarci.

In tale posto mangiamo sanissimi cibi 100% fritto, 100% gusto.

Successivamente tentiamo di raggiungere la Biennale, con una cartina in mano al Byb (cosa assai pericolosa). Della Biennale… beh! L’unica cosa da dire è che vale assolutamente la pena di visitarla, magari con un po’ più di calma. Molte opere interessanti, alcune abbastanza inutili.

Poi l’incontro con Rosa & Tino, alla statua di Garibaldi, mentre Poto ci aveva già abbandonato per doverosi impegni sociali. Si tenta di andare ai Giardini, dove c’era un’altra parte dell’esposizione della Biennale, ma scopriamo che avrebbe chiuso nel giro di mezz’ora e non ci sentiamo di obbligare R&T a pagare 18 euro per mezz’ora di mostra, ripromettendoci di visitarla un’altra volta.

Così ci adagiamo sui tavolini di un bar lì vicino per una sana caraffa da un litro di spritz, mentre Ribaldo e Edgar invece visitavano i Giardini.

Poi, ovviamente, ci si perde. Si corre a recuperare i 2 persi inseguendo chissà quale enorme nave da crociera (non era più facile dire: girate a sinistra alla fine della via? :P).

E alla fine, cerchiamo il posto perfetto dove cenare. Grazie alle nuove tecnologie riusciamo a trovare il ristorante/osteria la Vedova, che era ovviamente piena. Giriamo ancora un po’ per i calli e troviamo un altro ristorantino interessante, se non per i bambini urlanti che lo popolavano.

E poi boh, la corsa verso la stazione e il casino per fare i biglietti per il ritorno, visto che i posti su praticamente l’unico treno rimasto erano esauriti. Facciamo il biglietto per un treno di pari classe ma di un altra ora, giusto per evitare la multa e poi tentiamo di prenderlo. Tale treno era un intercitynight per Munchen. Tante carrozze tedesche e una unica carrozza italiana. L’unica carrozza italiana scoppiava, visto il numero di persone in piedi.

Il treno parte, molti scendono a Mestre e veniamo cacciati dalla parte tedesca da una gentile signora nana e antipatica che ci ha detto chissà cosa. Torniamo così nella parte italiana, assieme ad un duo di vicentini alquanto ubriachi. Lei, oltre ad essere ubriaca, è in lacrime, perché lui ha regalato delle rose a lei, ma anche ad un altra e allora lui, per sdrammatizzare, decide di regalare ad ognuno di noi altre rose, che sono sul pavimento del treno, schiacciate da valige, piedi e qualsiasi altra cosa. Inutile poi tentare di fare capire che noi scendevamo a Padova, loro dovevano stare sopra fino a Vicenza e che Vicenza era prima di Verona. Alla fine non capivano più nulla e volevano scendere prima a Padova poi a Verona. Povero Edgar che si è dovuti sorbire più di noi.

Tornati a Padova, altro giro in tram blu silenzioso figoso ma congelante fino alla nostra dimora temporanea. Poi gli altri si sono messi a fare discorsi un po’ troppo culturali per i miei gusti, tanto da convincermi a fare l’asociale e dormire, visto che ero stremato da questa mia prima volta a Venezia.

Il giorno dopo, sveglia con la doverosa calma, altro ottimo pranzetto e, una volta preparati gli zaini, siamo andati a vedere la mostra sul Signorini allestita a Palazzo Zabarella. Mostra interessante, un allestimento ben curato (altro che quelli di Palazzo Reale!), solo che il Signorini non è esattamente il mio genere, anche se molti quadri erano notevoli.

Salutiamo Ribaldo, che avrebbe preso l’Eurostar prima del nostro, mentre noi finiamo con calma il giro della mostra e dopo facciamo un giretto per Padova, piena di vita per la festa delle associazioni o una cosa del genere.

Decidiamo di sederci ad un bar gelateria, che bocciamo per il pessimo servizio, la panna acida che hanno usato per il gelato e per la clientela decisamente autoctona decisamente troppo tirata. Aggiungiamo anche il prezzo stratosferico (15 euro per 3 coppette) e sembrava quasi di essere a Milano.

Arriviamo poi in stazione, attendiamo il nostro Eurostar e scopriamo via SMS dal buon Ribaldo che loro sono bloccati a Rezzato, prima di Brescia, visto che un ragazzo è stato investito dal loro treno.

Prevediamo notevoli ritardi… ed è così. Partiamo giusti da Padova, ma iniziamo a rallentare lungo la linea. Nel frattempo scopriamo che il ragazzo si era suicidato e prima del gesto aveva avvisato i genitori via sms.

Tristezza per lui, per quello che l’ha spinto al folle gesto, ma anche un po’ di noia nei confronti di come Trenitalia ha gestito l’emergenza. Il nostro treno è stato fermo prima mezz’ora, poi 20 minuti, ufficiali. Ma, non si sa come, questi 30+20 erano diventati già 69 minuti di ritardo. A Vicenza già sono saliti passeggeri che avevano prenotato sull’Eurostar successivo e si son ritrovate in piedi. Ma a Verona (o non ricordo dove) è successo il peggio, quando sono saliti passeggeri di un regionale che era stato soppresso. Così il treno è stato declassato e, oltre al notevole ritardo, ha fatto tutte le fermate fino a Brescia.

A Brescia, poi, è ritornato ad essere un diretto fino a Milano e qualcuno è sceso, ma erano ancora sul treno quella coppia di strani personaggi che ha passato tutto il viaggio al telefono a dire alla madre, al padre, all’amica, alla suocera e al suocero quanto Trenitalia facesse schifo, come non sanno gestire le cose, che erano su un vagone che sembra quello dei deportati verso i campi di concentramento ed io, per evitare di sentire e incazzarmi, sinceramente, mi son sparato Maaaadanna a tutto volume.

Alla fine arriviamo a Milano con 129 minuti di ritardo (su 125 di viaggio previsto). Pausa bagno (che proprio non ce la facevo più e in treno era impossibile muoversi), pagando un euro e passando per tornelli manco fossero quelli della metro.

Poi alle macchinette automatiche per fare i biglietti per il ritorno e poi di corsa al McDonald fuori Centrale per prendere qualcosa da mangiare d’asporto, visto che erano le 22 e passa.

Ritorniamo in centrale, affrontando anche una scala mobile immobile (argh!) e saliamo sul treno, ovviamente pieno.

Il treno parte, noi mangiamo, messaggiamo un po’ tutti avvisando della situazione e, alla fine, mi è venuto un mal di testa tremendo, che non mi ha abbandonato fino a che non mi sono addormentato nel mio lettuccio.

E ora, ci sarà un qualche modo per chiedere un rimborso a Trenitalia per questi ritardi?

Tra due fuochi

Che poi, dalla brutta riunione che non mi è piaciuta neanche un po’, siamo finiti ad una situazione interessante.

Due fuochi dalle idee più o meno opposte e io rigorosamente in mezzo, a dover mediare il tutto e operare anche delle scelte.

Scelte che non sono in grado di effettuare. Da una parte la logica e la razionalità, dall’altra il rischio e la fiducia nel futuro.

Ma io sono dannatamente tentato di optare il rischio, rischiando di finire da solo in balia di me stesso.

E tu dove ti immagini tra 5 anni?

Sarà che forse ho risposto troppa fiducia in uno dei fumosi progetti che forse dovrebbero partire.

Sarà che forse io con le persone non ci so fare molto e rimango sempre scottato.

Ma direi che la riunione di oggi, anche se magari è solo una brutta impressione che non ha significato alcuno, non mi è affatto piaciuta e non mi lascia presagire nulla di buono. Ho visto comportamenti e atteggiamenti che non mi sono piaciuti né da una parte, né dall’altra. E mi sono trovato pure in mezzo alle critiche l’uno dell’altra.

Così è successo che sono in uno stato di tristezza, abbattimento e delusione. Delusione profonda.

Una chiamata, interrotta bruscamente ringraziando non so se il Parrot, la Tre o l’iPhone, poi, mi ha fatto pensare a delle impressioni di altri, che ai tempi mi avevano dato da pensare e che poi avevo rimosso. Ma quello che mi sono ricordato, confrontato con quello che ho visto oggi non mi è piaciuto per niente.

Poi, non so come, tornando a casa in macchina, nella notte piovigginosa, mi è venuta in mente una domanda, che mi aveva fatto la psicologa del progetto orientamento di cui avevamo fatto parte all’ultimo anno del liceo.

Mi aveva chiesto dove mi immaginavo 5 anni dopo. Ora ricordo la risposta che avevo dato. Mi immaginavo nel mio favoloso studio di architettura e design. Un open space, tutto vetrate, tre grandi scrivanie grosse ed enormi, luminoso, dotato di Mac. Io e i miei due soci. Con uno di questi, un mio compagno di liceo, è successo che a fine anno non ci parlavamo neanche più. L’altro non ricordo neanche chi sia, in verità. Forse non era neanche un lui, forse era una lei, non ricordo più. O forse era solo una persona indefinita, perché ricordo che la psicologa diceva che dicono le cose funzionano meglio in tre. Ci vuole il pazzo creativo, il razionale e il terzo, che non ricordo.

Ora i 5 anni son passati. E sì, sono in un open space con scrivanie grosse ed enormi piene di mac, ma non è luminoso e non siamo solo in tre soci. E non è – ovviamente – mio.

Su friendfeed, nei giorni scorsi, circolava un thread con la stessa domanda. Io avevo iniziato a scrivere, dimenticandomi completamente che anni fa avevo già dato una mia risposta. Ma poi ho cancellato. Scrivevo e cancellavo. Seriamente, io, ora, tra cinque anni, non lo so.

Lavorativamente parlando, non so dove sarò.

Però ad un certo punto, perso nel silenzio della macchina, mi è balenata una scena.

Un divano, una TV e due persone. Sì, tra 5 anni vorrei essere lì.

Io voglio far parte della soluzione

Ieri o l’altro ieri, da G. ho ricevuto una proposta via Facebook. Se accosentivo a pubblicare un suo scritto qui sul mio blog.

La mia risposta, la potete immaginare.

Un blog è una cosa molto personale e mi trovo un pò fuori posto a lasciare le mie parole sulla tua pagina, quel “Me or Not” che ho la fortuna di conoscere. Quello che esce dalla mia penna di solito lo tengo per me, non scrivo per altri, non dedico rime o poemi anche perché non sono in grado di scriverne, lascio andare le parole e quello che esce è solamente quello che sono. Questa volta è diverso, lo faccio volentieri, sono stato io a chiederti di pubblicare un mio lavoro, il perché non mi è ben chiaro o meglio, non mi è chiaro come si possa arrivare a questo punto.

Ti scrivo questa pagine perché voglio che tutti coloro che leggono questo blog sappiano che l’italia non è solo quella raccontata dai tg, non è rappresentata da idioti che usano le mani perché non hano un cervello, è ben altro.

Mi vergogno di vivere in un paese dove una persona che ama in modo differente da quello che la chiesa di Roma dice, viene picchiato, sfigurato, ucciso. La sua colpa è solo quella di amare, come può essere una colpa.

Mentre il resto del mondo avanza, riconosce diritti, progredisce, l’Italia va indietro, torna alle leggi razziali, sfocia nella violenza di adolescenti annoiati e senza idee.

Perché mentre il manganello può sostituire il dialogo le parole non perderanno mai la loro importanza.

Mi spaventa ancora di più il futuro, perché prima o poi i bambini che ora subiscono un bombardamento mediatico senza precedenti, bambini a cui viene insegnato a pulirsi il culo col tricolore, che vedono l’odio dilagare e che, non per colpa loro, pensano che sia normale, giusto. Perché se è un governo a fare determinate scelte, come fa un bambino a giudicarle?? È piccolo, assimila, queste immagini faranno parte della sua cultura, della sua identità.

Ecco, prima o poi, questi bambini saranno uomini e potranno scegliere, votare, decidere. E cosa succederà in quel momento? Saranno in grado di decidere con la loro testa?? Sarà davvero colpa loro un eventuale errore??

Questo ormai è il problema, ma io voglio far parte della soluzione.

Ti scrivo per affermare con assoluta convinzione che come me, eterosessuale e non per questo migliore, migliaia di persone credono ancora che gli uomini in quanto tali nascono liberi ed eguali.

Che sia nero, bianco, giallo o verde, alto o basso, grasso o magro, etero o gay, credente o meno, acculturato o ignorante. Ogni uomo o donna che sia è uguale a me, ed è alla pari. Non è meglio, non è peggio, siamo alla pari. Non esiste alcuna prova scientifica o morale in grado di affermare la superiorità di una persona su un’altra e per questo condanno ogni tipo di razzismo, di violenza, di discriminazione.

Voglio che le mie parole vengano lette perché voglio che la gente che si sente parte di una minoranza, qualsiasi essa sia purchè non violenta o priva di significato, sappia che non è sola. Parlo per me e spero di parlare per molto altri, voglio vivere in un paese in cui ogni uomo è libero di comportarsi come crede purchè non leda i diritti degli altri, dove possa sentirsi sicuro, libero e rispettato. Non in un paese d’odio.

Le parole, le idee, cambieranno il mondo, lo rovesceranno, non la violenza. L’intelligenza fa progredire, l’ignoranza ci riduce a bestie.

Le mie parole sono la mia testimonianza, il mio impegno.

La comunità gay non è sola, le minoranze etniche non sono sole, le vittime di abusi non sono sole, finchè avrò fiato in gola pronuncerò le mie parole.

Ti lascio con l’unica cosa in cui credo ancora ciecamente, due righe lasciateci da menti illuminate, non certo da chi comanda ora.

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Grazie per questa possibilità. A presto.

Grazie a te, G.

[I am beautiful] Sinceramente e di cuore, Lore

Ci siamo conosciuti quest’anno in quel del Poli.

E ammetto che non ricordo neanche come abbiamo iniziato a parlare, ma è successo.

Poi facebook, le note, i tag, le chiaccherate durante le pause, le idee folli alle 2 di notte e le chattate.

Con te, con tutti voi del Poli ho sempre deciso di essere me stesso. Senza sbandierare, perché non devo fare le baraccate. Ma semplicemente non negare, parlarne al momento giusto e non in quello inopportuno. Perché era giusto conoscerci a vicenda.

Poi, con te, non ricordo neanche come siamo finiti sull’argomento. Eppure parlandone, con naturalezza, è uscito. Forse una mia battuta sottile, forse una mia risposta ad una tua domanda, forse altro boh, non so, non ricordo, ma alla fine non è neanche così importante. Fatto sta che il discorso è andato avanti tranquillo, senza che tu abbia fatto una piega.

E devo ammettere che è stata un po’ una prima volta. Naturale, senza problemi, senza conseguenze. Non ricordo più cos’era successo, ma ricordo che abbiamo parlato della situazione italiana, come nessuno faccia nulla, come la situazione dei diritti uguali per tutti ma non per alcuni non sia molto corretta. Fino ad arrivare al più recente like per la fiaccolata e alla tua voglia di esserci, ma non potevi per altri impegni.

Poi oggi, dopo settimane, scopro questa tua nota.

Una tua nota, prima di partire per un viaggio vagabondaggio per l’Europa. L’idea accennata e con troppi “se”. Quel trovarsi da qualche parte in Europa a chilometri da Bovisa, se avessi avuto le ferie e se avessi trovato qualche last di fortuna. Ovviamente portandomi dietro il Byb, che hai già visto/intravisto un sacco di volte, ma in effetti non sono stato così esplicito su chi lui sia per me, anche se forse non serve neanche vista l’evidenza dei fatti.

Ecco, in quella tua nota, prima di partire, dedichi una canzone a quelli a te più cari di questo anno di Bovisa.

E a me dedichi quella bellissima canzone della Cristina Aguilera, Beautiful. Una canzone che adoro. Che ascolto quando sono triste, che ascolto quando voglio un po’ di carica. Un testo che so a memoria, pure non riuscendo a far diventare completamente mio quel I am beautiful no matter what they say / words can’t bring me down / I am beautiful in every single way / Yes, words can’t bring me down, oh no / So don’t you bring me down today.

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E tu cosa mi combini? Me la dedichi, e mi scrivi pure un

A te Lorenzuccio mio un pò di autostima che ti fa bene. Canzone importante, parole forti. Vorrei fare di più per convincerti di quanto vali, e di quanto la fragilità che vedo in te andrebbe spazzata via, per ora una canzone, una sola, tutta per te. Negli anni farò il resto.

Non sai le emozioni che mi hai provocato. Per la canzone, che, cavolo, l’hai beccata in pieno! Per il Lorenzuccio, per il tirare in ballo la mia scarsa autostima. E quel negli anni farai il resto, che suona come una promessa, ma anche un monito. Come fosse un guarda che non ti lascio in pace finché non migliori.

E in un colpo solo hai individuo e colpito quello che reputo fondamentale in una relazione di amicizia. In una amicizia sono necessarie le parole al vento, quelle leggere e frivole, i dialoghi più seri, la condivisione, il confronto di interessi e attidudini, le esperienze, lo studio e il lavoro. Ma in una amicizia è necessario l’aiuto, il consiglio. Sì, per Photoshop, per il php, per la consegna, per l’idea. E in una Amicizia è quel do ut des senza l’ut des, quello senza la condizione. Quell’aiuto a migliorare sé e l’altro in quanto persone.

E per questo e anche se non so e non ricordo se hai l’indirizzo di questo blog, anche se non so se le leggerai (ma chissà… magari ti manderò io il link. Oggi, domani o tra un po’…), io, Giò, ti ringrazio.

Sinceramente e di cuore,

Lore.

Coming out social

Dopo giorni di contenuti futili e inutili, finalmente qualcosa che giustifichi quel “me” di “Me or not?”.

Giusto perché in realtà il mio coming out in effetti è stato solo un outing forzato da finti amici che hanno spifferato blog e account twitter ai miei cari genitori (o almeno, questa è la versione ufficiale), ho deciso, ora, di fare qualcosa, di ben peggiore.

Un coming out su Facebook a mezzo spam del gruppo e dell’evento della fiaccolata di domani a Milano.

Perché sinceramente il “proteggermi” dalle possibili malelingue è decisamente ridicolo e assurdo in confronto al tacere un’evento così importante, per noi, per i nostri cari, per i nostri amici.

E ora cari adorati falsi amici delle elementari, medie, superiori, università, vicini di casa, lontani parenti, gente della parrocchia e dell’oratorio, esimi colleghi (e capi?) e faccine che non ho mai visto dal vivo, sta a voi.

Sinceramente, me ne frego e vado dritto per la mia strada

Ma, sinceramente, me ne frego e vado dritto per la mia strada.

Guess who’s back

Tornato.

Che magari non vi avevo neanche detto che sarei partito.

Però è stata una fuga così veloce che è già finita…

2,3/3 giorni in campeggio in dolce compagnia.

  • Molto molto sonno, interrotto da qualcuno che la mattina pretendeva di fare altro.
  • Tanto fresco.
  • Una nuotata nel lago sopra un materassino gonfiabile ben al riparo dai gamberoni giganti transgenici.
  • Una capatina oltre confine per contrabbandare un pieno di benzina e chili e chili di cioccolato.
  • Il Professor Layton e il Mistero della Tartaruga Rapita.
  • Un offline semi completo, visto che la 3 prendeva poco o nulla (beh, neanche vodafone e TIM). Giusto il tempo per disintossicarmi un po’ dalla Farmville e scoprire, una volta tornato a casa, che il server non aveva salvato il mio ultimo raccolto fatto prima di partire. Ora sto meditando di cancellare – per vendetta – l’account e bloccare l’applicazione.
  • Wired n° 7 dimenticato a casa.
  • un amico sparito da giorni e con cui avevamo un mezzo impegno per qualche giorno al mare che è finalmente ricomparso, dimenticandosi completamente del mare e iniziando subito a parlare di lavoro e di questo e di quell’altro e di incontri (di lavoro) che dobbiamo organizzare entro settembre.
  • La visione di un pessimo “La regina dei dannati” e di un ottimo “Edward mani di forbice” (ebbene, non l’avevo ancora visto).

E ora niente. Son di nuovo a casa. Solo. Con ancora 7 giorni di ferie davanti a me che brucerò sicuramente stando rintanato in casa (che tanto uscendo si muore dal caldo). E con 1000+ post da leggere sul Reader. Ansia.