Controllare il back-end di quel maledetto sito e vedere quel che stanno facendo. Che poi viene l’ansia e non si riesce più a dormire. E mi viene da piangere, perché lo sapevo che non avrei mai dovuto accettare quel lavoro.
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Ti trovo bene. Ma mi sei deperito?
C’è che qualcuno qualche giorno fa mi ha detto che mi trovava veramente in forma e chiedeva pure se avevo messo su qualche chilo, perché mi vedeva veramente bene.
Poi qualcun altro mi ha detto invece che mi trovava smagrito e deperito e con una brutta cera (ok, le parole esatte non sono queste, ma il significato circa).
Oggi ho finalmente capito a chi dare ragione. E credo sia il secondo. Perché sono giorni che ho orari sballati, mangio malissimo e poco perché mi manca completamente l’appetito e al massimo mi ritrovo la notte a mangiare schifezze, come patatine e sacchetti di pop-corn scaldati al microonde.
E poi c’è l’ansia, l’ansia per quel lavoro che non capisco perché faccio così fatica a portare avanti. L’ansia dei problemi, dei css che sballano, dei temi cancella-e-rifai-tutto che forse è meglio, l’ansia delle email e di quelle paure irrazionali che mi mandavano in crisi tutte le volte che guardavo la inbox di gmail.
E i pianti notturni, che ormai son diventati un appuntamento fisso.
E sì, sto male e sono il solito coglione che non è in grado di parlarne e che sorride e risponde grugnendo con un sì certo tutto bene.
Forse dovrei imparare ad aprirmi di più con chi mi vuole bene, ma forse sono ancora troppo testardo e orgoglioso per riuscire a chiedere aiuto.
Settembre meno due
Che poi, niente. Così all’improvviso arriva settembre e inzia l’ansia, con due esami troppo presto e che devo passare, con un lavoro troppo lungo e difficile da portare a termine il prima possibile, con l’altro lavoro messo in standby causa ferie estive e quello collegato da iniziare, uno che boh chissà se parte, un altro che forse invece era meglio lasciar perdere.
Blackout
Non auguro a nessuno un blackout di due ore in ufficio.
Proprio quando c’era da fare il grosso del lavoro.
Tutto il quartiere senza corrente, ma noi, che siamo fortunati, eravamo nell’ultima via del blackout. Anzi, noi, dalla parte dei numeri dispari eravamo senza corrente, quelli dall’altra parte della strada ovviamente non avevano problemi.
Tutto saltato: internet, telefoni, computer, server e ogni servizio collegato: l’ftp, l’archivio dati, il sistema di invio delle notizie, il database dei palinsesti, i server email.
E quindi a chiamare (dal cellulare) clienti, fornitori, pubblicitari, tipografie e redazioni per avvisare che – ecco – avevamo qualche piccolo problemuccio.
Poi, dopo un’ora e mezza morire dal caldo (aria condizionata off, ovviamente), ritorna la corrente. Accendiamo, i server iniziano la procedura di riavvio. La rete locale riparte, dopo un po’ internet, i telefoni tornano a squillare, l’ftp. Faccio per scaricare alcuni dati in locale (visto che i file server erano ancora in off), per recuperare un po’ del tempo perso e bum. Via di nuovo la corrente.
Torna, dopo un po’. Ma salta di nuovo, dopo 10-15 minuti.
E poi torna. E questa volta è la volta buona. Però abbiamo avuto un sacco di problemi. Uno dei computer su cui giravano alcuni programmi fondamentali per il caricamenti di alcuni dati in pagina si era bruciato ed era inutilizzabile. Il sistema di invio delle notizie funzionava solo in locale ma i collaboratori esterni non riuscivano ad accedervi. I file server si sono riavviati solo nel giro di mezz’ora e i server mail, probabilmente, hanno perso molti messaggi, mai recapitati.
È stato bello vedere il gruppo di sistemisti/informatici litigare su quale fosse la soluzione ottimale per far ripartire il pc bruciato. E meno male che i sistemisti/informatici erano in ufficio per una riunione/corso d’aggiornamento/quello che era, sennò avremmo avuto un sacco di problemi a far ripartire tutto il sistema (operazione che, anche se non al 100%, ha impiegato più di mezz’ora di tempo!).
Di corsa, al lavoro, per fare tutto. Ansia, ansia e ancora ansia, nel dover fare tutto di corsa, con mezzi di fortuna, usando le mail anziché il solito comodissimo sistema web.
Un po’ di straordinari, ma poi, l’amara sorpresa: è saltato anche il server che controlla il sistema di gestione degli accessi. Tradotto: i bagde per l’ingresso in ufficio sono fuori uso.
Speriamo che il nostro tecnologo che ho lasciato da solo in ufficio riesca a sistemare la cosa. E, nel caso, speriamo che il primo che domani dovrà entrare in ufficio abbia le chiavi…
[Take me out of here, please]
Post programmati.
Far comparire domani quello che provo ora.
Perché non sono pronto a rilasciarlo ora, a tutto il mondo.
Perché mi sto tenendo tutto dentro e non mi fa bene.
Mi sto chiudendo su me stesso e allontanando, in un modo o nell’altro, un po’ tutti.
Vorrei prendere, urlare, scagliare iPhone contro muri (e sarebbe per lo meno il secondo), piangere.
Perché la situazione è assurda e non resisto mica.
E mi serve aiuto, ora e subito.
Aiutatemi.
A partire dalle cose materiali. Perché ho una consegna giovedì e anziché scrivere questo post che verrà pubblicato domani, dovrei essere a fare scansioni, scontornare e impaginare, visto che domani, mentre voi starete leggendo queste righe, io dovrei essermi già incontrato con i miei compagni di gruppo per stampare tutto e stare un po’ tranquilli.
Poi venerdì ho l’esame di informatica. Quello in cui ho già un parziale di 30 e lode. Ed è la cosa peggiore. Perché praticamente non ho ancora aperto libro/fatto esercizi. E questa volta si parla di Javascript e Action Script. E non so nemmeno se si parla del 2 o del 3. Siam messi bene, eh? Quindi ciao ciao lode, ciao ciao buon esito dell’esame.
E poi rimane matematica, da dare, prima o poi.
E come se non bastassè, c’è il lavoro. E quel clima schifoso e insopportabile che regna in ufficio.
Ho bisogno di una pausa, di fermarmi.
E invece mi trascino avanti, perché devo e non posso fare altrimenti. Non posso abbandonare il lavoro, non posso lasciare indietro l’uni, ora che finalmente faccio quello che voglio.
Ma ammetto che la voglia scarseggia.
E scarseggia ancor di più passando qui la notte.
Qui non ci voglio stare, me ne voglio andare.
Può non essere la soluzione giusta, ma è l’unica che mi viene in mente.
Mi dici che devo essere in pace con me stesso. Beh, non ce la faccio.
Ho dentro di me tanta, tanta rabbia.
E si accumula e mi lacera.
Mi rendo conto di non riuscire più a vederli come li vedevo prima.
Li odio. Puramente e semplicemente.
O forse la odio.
È iniziato quest’estate, in quei giorni terribili.
La prima volta che l’ho pronunciato ad alta voce, davanti a lei.
Covavo dentro di me quelle parole, stavo male a tenerle dentro, perché sono parole che fanno male.
Ma quando sono uscite, non ho provato nulla.
Rimpianti, dolore, necessità di chiedere scusa.
E ora meno che meno.
Voglio prendere ed andarmene e non voglio più averci nulla a che fare.
Io mi sono arreso, non ho più le forze di lottare e recupare qualcosa che non credo abbia senso di recuperare.
O più altro, è impossibile recuperare qualcosa che forse non è mai esistito.
E questo me l’ha fatto notare qualcuno che non avrei mai pensato avrebbe detto una cosa del genere, che bene o male mi conosce da quando sono nato.
E mi sono perso, con questo post assurdo.
So solo che non ce la faccio.
Voglio dormire.
E forse svegliarmi tra un sacco di tempo, quando potrò guardare indietro e sorridere a questo momento così lontano.
Ma non è possibile.
E c’è troppo da fare.
E non ho voglia.
E non ce la faccio.
E ho bisogno di aiuto.
Anche se lo rifiuto.
Vi prego.