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Fallen Princess II

Sono giorni che vedo girare su blog, friendfeed e facebook le foto della serie “Fallen Princess” realizzata da Dina Goldstrein e di cui avevo già parlato l’estate scorsa in questo post.

Andando a ricercare il nome dell’autrice, visto che come sempre, casualmente la fonte si perde per strada, ho scoperto che c’è un vero e proprio sito interamente dedicato al progetto, con qualche immagine che non avevo ancora visto.

Quando il particolare è il totale

Il pomeriggio del secondo giorno del viaggetto (sfortunato) in terra svedese l’abbiamo passato al Moderna Museet, rischiando addirittura di farci chiudere dentro e con la febbre che iniziava a salire.

Bella l’esposizione permanente (voglio quella carta da parati by Andy Warhol, quel quadro gigante di Dalì e quel Picasso), ma sono stato colpito anche dall’esposizione temporanea delle opere del fotografo tedesco Andreas Gursky.

Gursky realizza foto in grande (grandissimo) formato, giocando moltissimo con fotomontaggi e modificando le proporzioni degli elementi. Spesso rende l’uomo piccolo, minuscolo, in confronto al mondo, sia naturale che artificiale. Ci si perde nella qualità compositiva delle sue foto, ci si cruccia nel comprendere il metodo di realizzazione, ma spesso non si può far altro che rimanerne sbalorditi dalla quantità a volte ossessiva di dettagli che però non va a intaccare la totalità del lavoro.

Apple + Warhol

andy-warhol-logo-appleEcco.

Io ho deciso di non spendere più e cosa succede? Mi mettono all’asta questa serigrafia del vecchio logo Apple colorato, realizzata da un quasi perfetto sconosciuto: Andy Warhol.

L’asta sarà aperta il 6 maggio presso la galleria O’Gallerie a Portland nello stato dell’Oregon (USA). Il prezzo previsto oscilla tra i 20.000 e i 30.000 dollari.

Via Melamorsicata

Futurismo e sorgenti di luce a Palazzo Reale

Non ho ancora avuto modo di parlare di sabato.

Perchè, dopo una mattinata in giro per BVS con alcuni colleghi di università alla ricerca di impronte per un lavoro di gruppo, sono andato (ovviamente in dolce compagnia) a vedere (finalmente) la mostra sul futurismo a Palazzo Reale.

Inutile dire che prima di metterci in coda, però, ho perso un sacco di tempo a fotografare la struttura in piazzetta reale, liberamente ispirata ad alcune opere dei futuristi e su cui leggere Parole in libertà di Marinetti, piuttosto che Il manifesto futurista in francese, pubblicato su Le Figaro il 20 febbraio 1909 o il Manifesto dell’architettura futurista di Sant’Elia.

Architetture futuriste #3: soldato

Quella struttura, è una figata. Un insieme di colonne formate da triangoli arancio o neri o specchi, con al centro una struttura curva che sale verso l’alto con sopra la riproduzione di un omino stilizzato disegnato da Boccioni (mmm… no, forse no.. Byb, ricordamelo tu!) e una rivisitazione degli intonarumori di Russolo.

Ma il bello è stata la mostra. A parte le prime sale (un po’ deludenti, all’epoca neanche i futuristi sapevano cos’era il futurismo?) e le ultime (con un futurismo che ormai stava andando a morire). Ma le sale centrali erano bellissime. Un sacco di opere, belle, bellissime, magnifiche.

Una mostra che mi ha stupito per i contenuti. Ma che, come al solito, non è stata valorizzata al meglio dall’allestimento deludente (come sempre) di Palazzo Reale.

Al solito le spiegazioni erano pochissime e (per quel poco che ho letto) pessime, per quanto, almeno nella forma grafica, si ispiravano al Libro imbullonato di Depero.

Forme uniche nella continuità dello spazio - BoccioniPessima era anche l’illuminazione, soprattutto in due casi particolari: quella di un quadro dipinto con un grigio argento riflettente, praticamente appiattito e reso quasi opaco dai faretti puntati addosso; ma il peggio l’hanno raggiunto con l’illuminazione di Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni.

L’opera inoltre si sviluppa mediante l’alternarsi di cavità, rilievi, piani e vuoti che generano un frammentato e discontinuo chiaroscuro fatto di frequenti e repentini passaggi dalla luce all’ombra. Osservando la figura da destra, il torso ad esempio pare essere pieno ma se si gira intorno alla statua e la si osserva da sinistra esso si trasforma in una cavità vuota. In tale modo sembra che la figura si modelli a seconda dello spazio circostante ed assume così la funzione per così dire di plasmare le forme.

via Wikipedia

Due faretti potentissimi puntati dall’alto su quella piccola statua, posizionata in basso, attaccata ad una parete. E così la luce trasformava l’opera, facendogli perdere tutta la sua sinuosità, creando delle grosse zone d’ombra che rendevano impossibile vedere tutto il suo sviluppo, soprattutto nelle parti bassi e tutta la parte posteriore, che erano nere, praticamente nere. Altro che chiaroscuri e repentini passaggi d’ombra! Se poi ci aggiungiamo pure il fatto che non ci si poteva neache girare attorno a 360°… Insomma, una delusione. E ci sono rimasto male perché quell’opera mi piace tantissimo, ma vederla così non mi ha permesso di apprezzarla a pieno.

L’architettura futurista

Architetture futuriste #7: l'architettura futurista

Io combatto e disprezzo:

  1. Tutta la pseudo architettura d’avanguardia, austriaca, ungherese, tedesca e americana.
  2. Tutta l’architettura classica, solenne, ieratica, scenografica, decorativa, monumentale, leggiadra, piacevole.
  3. L’imbalsamazione, la ricostruzione, la riproduzione dei monumenti e palazzi antichi.
  4. Le linee perpendicolari e orizzontali, le forme cubiche e piramidali, che sono statiche, gravi, opprimenti ed assolutamente fuori dalla nostra nuovissima sensibilità.
  5. L’uso di materiali massicci, voluminosi, duraturi, antiquati, costosi.

E Proclamo:

  1. Che l’architettura futurista è l’architettura del calcolo, dell’audacia temeraria e della semplicità; l’architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati al legno, alla pietra e al mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza.
  2. Che l’architettura futurista non è per questo un’arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione.
  3. Che le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa natura hanno una potenza emotiva mille volte superiore a quella delle perpendicolari e delle orizzontali, e che non vi può essere un’architettura dinamicamente integratrice all’infuori di esse.
  4. Che la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all’architettura, è un assurdo, e che soltanto dall’uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell’architettura futurista.
  5. Che, come gli antichi trassero l’ispirazione dell’arte dagli elementi della natura, noi – materialmente e spiritualmente artificiali – dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l’architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione artistica più efficace.
  6. L’architettura come arte di disporre le forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita.
  7. Per l’architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con audacia l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito.5
  8. Da un’architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell’architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le cose dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del futurismo, che già si afferma con le Parole in libertà, il Dinamismo plastico, la musica senza quadrante e l’arte dei rumori, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista.

Milano, 11 luglio 1914
Antonio Sant’Elia