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Non è una colpa, nemmeno una malattia

Un altro, ottimo post del buon sonounprecario su quella canzonaccia che rischiava di vincere il festival.

E ovviamente, sono saltate fuori le solite polemiche. E i soliti discorsi “e bah ma tanto è solo una storia”, che ho sentito troppe volte.

Ottima, a riguardo, la risposta di Suszukimaruti:

Quindi il “raccontare una storia” ci esime automaticamente dal giudizio sul *contenuto* della suddetta storia? E soprattutto ci esime dal giudicare le premesse della storia?

(perché i difensori di Povia non la contano giusta o ignorano il fatto che la canzone sostanzialmente dice che Luca era diventato gay perché aveva problemi in famiglia. La premessa è evidente: secondo Povia (o chi lo manovra) l’omosessualità è una devianza, il frutto di un trauma, di una situazione scomoda, ecc.)

Quindi se domani salta fuori uno che in una canzone racconta una storia in cui i campi di concentramento non sono mai esistiti, tutti zitti?

Quello che fa uomini gli uomini è proprio la capacità di giudicare la Storia. E le “storie”.

Io fortuna che non l’ho ancora mai sentita in radio. E se qualche collega la mette in ufficio, prendo le mie belle cuffiette bianche e sparo la musica a tutto volume

Se nasci star…

Alcune persone nascono star. O lo sei o non lo sei. Io sono nata così. Anche quando ero piccola avevo sempre gli occhi su di me, come il miele per le api. Ero sempre oltraggiosa e molto intelligente. Ho un forte senso della mia sessualità. Amo il corpo umano nudo e sono molto sicura del mio corpo.

Modesta, la Lady GaGa, no?

Via GossipBlog

Luca credeva di essere gay

Scoperta grazie agli elementi condivisi sul Google Reader dal buon Gattonero:

Piera Serra, Lorita Tinelli, Luigi D’Elia

Le considerazioni che come professionisti delle relazioni e del mondo psichico qui facciamo non riguardano certamente il contenuto artistico della canzone1, sul quale non vogliamo entrare. Anzi pensiamo che ogni opera d’arte possa rappresentare aspetti dell’animo umano e in tal senso pensiamo che persino l’omofobia come altre posizioni psicologicamente “difensive” possano avere cittadinanza in un contesto artistico, in determinate culture, compresa la nostra. Né immaginiamo che le osservazioni di uno psicologo possano mai intendersi come restrittive per qualunque forma espressiva, avremmo in tal caso derogato al motivo stesso che ci orienta come psicologi.

No, queste considerazioni riguardano il contenuto culturale che la canzone veicola che ci sembra prodotto di pregiudizi del tutto infondati e sul quale abbiamo qualcosa da dire. Anzi, lo sconcerto suscitato dal testo della canzone, potrebbe essere per noi psicologi l’occasione per porgere le nostre scuse a lesbiche e gay: chiedere il loro perdono per le teorie sulla psicopatogenesi familiare dell’omosessualità che alcune scuole di psicologia hanno in passato coniato e che, come comunità scientifica, abbiamo consentito per alcuni decenni venissero divulgate infestando la cultura, contribuendo al pregiudizio negativo nei confronti di gay e lesbiche, screditando le loro madri e i loro padri.

La canzone infatti rappresenta l’omosessualità come se fosse una di quelle condizioni psicopatologiche ben note agli psicoterapeuti in cui il soggetto, ritenendosi erroneamente omosessuale a causa di relazioni familiari disturbate, intrattiene rapporti sessuali con persone omosessuali:  il titolo avrebbe dovuto essere “Luca. credeva di essere gay”

Viene rispolverato il vetusto teorema della madre intrusiva e possessiva che, squalificando il modello maschile, indurrebbe il figlio ad assumere una posizione omosessuale: il personaggio dice “Ero gay” e spiega di aver scoperto che tale condizione era dovuta alle relazioni con una madre “gelosa morbosa” e con un padre assente e dedito all’alcol, screditato dalla madre stessa (“Mamma mi parlava sempre male di papà”). Riferisce che aveva rapporti sessuali con uomini, ma non li amava “Io credevo fosse amore”: dunque, ammette che credeva di essere gay senza esserlo, esclude di aver vissuto un amore gay [oppure, peggio ancora, implica che tutti i gay credono di amare senza in realtà amare]. “La mia identità era sempre più confusa”: la motivazione dei rapporti omosessuali – dice – era la compensazione della relazione insoddisfacente con il padre (”Cercavo negli uomini chi era mio padre”) nonché il senso di colpa insito nella relazione con donne (”Andavo con gli uomini per non tradire mia madre”). E, ciliegina sulla torta, si descrive vittima di un pedofilo. [NdL: questo in realtà non mi torna…]

La precisazione “Nessuna malattia. Nessuna guarigione” non emenda il testo: è vero, non si parla di una malattia del cervello, ma si equipara comunque l’omosessualità a una condizione di anormalità psichica e si colpevolizza la madre come patogena.

Ben comprensibili e condivisibili le proteste di associazioni quali Agedo, Arcigay e Arcilesbica, nonché di esponenti del mondo intellettuale; infatti l’essere lesbiche o gay, ben lungi dal rappresentare condizioni innaturali o post-traumatiche, sono molto più semplicemente orientamenti sessuali che non richiedono alcun ulteriore aggettivazione di genere scientifico o morale (normale/anormale, naturale/innaturale, sana/patologica, giusta/sbagliata).

Al pubblico del festival ci ha pensato Roberto Benigni a rappresentare l’omosessualità in modo sublime e commovente.

Resta a noi psicologi fare ammenda del nostro errore.

Via Osservatorio Psicologia

L’architettura futurista

Architetture futuriste #7: l'architettura futurista

Io combatto e disprezzo:

  1. Tutta la pseudo architettura d’avanguardia, austriaca, ungherese, tedesca e americana.
  2. Tutta l’architettura classica, solenne, ieratica, scenografica, decorativa, monumentale, leggiadra, piacevole.
  3. L’imbalsamazione, la ricostruzione, la riproduzione dei monumenti e palazzi antichi.
  4. Le linee perpendicolari e orizzontali, le forme cubiche e piramidali, che sono statiche, gravi, opprimenti ed assolutamente fuori dalla nostra nuovissima sensibilità.
  5. L’uso di materiali massicci, voluminosi, duraturi, antiquati, costosi.

E Proclamo:

  1. Che l’architettura futurista è l’architettura del calcolo, dell’audacia temeraria e della semplicità; l’architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati al legno, alla pietra e al mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza.
  2. Che l’architettura futurista non è per questo un’arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione.
  3. Che le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa natura hanno una potenza emotiva mille volte superiore a quella delle perpendicolari e delle orizzontali, e che non vi può essere un’architettura dinamicamente integratrice all’infuori di esse.
  4. Che la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all’architettura, è un assurdo, e che soltanto dall’uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell’architettura futurista.
  5. Che, come gli antichi trassero l’ispirazione dell’arte dagli elementi della natura, noi – materialmente e spiritualmente artificiali – dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l’architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione artistica più efficace.
  6. L’architettura come arte di disporre le forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita.
  7. Per l’architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con audacia l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito.5
  8. Da un’architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell’architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le cose dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del futurismo, che già si afferma con le Parole in libertà, il Dinamismo plastico, la musica senza quadrante e l’arte dei rumori, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista.

Milano, 11 luglio 1914
Antonio Sant’Elia

Lasantha Wickramatunga: il testamento di un giornalista

In Sri Lanka c’è un mestiere, oltre a quello del soldato, che richiede il sacrificio della vita. È il lavoro del giornalista. Negli ultimi anni i mezzi d’informazione indipendenti hanno subìto un numero crescente di attacchi. Le loro sedi sono state bruciate, bombardate o chiuse. Molti giornalisti sono stati intimiditi, minacciati e uccisi. Per me è stato un onore appartenere a tutte queste categorie, in particolare, negli ultimi tempi, all’ultima.

Lavoro nel giornalismo da tanto tempo. Nel 2009 il Sunday Leader compie quindici anni.

In questo periodo sono cambiate molte cose nello Sri Lanka, soprattutto in peggio. Siamo nel pieno di una guerra civile combattuta da individui assetati di sangue. Il terrore, che venga dei terroristi o dallo stato è all’ordine del giorno. L’omicidio è il principale strumento con cui lo stato tenta di controllare chi difende le libertà civili. Oggi sono i giornalisti, domani saranno i giudici.

Il Sunday Leader è un giornale controverso perché noi chiamiamo le cose con il loro nome. Non usiamo eufemismi. I nostri articoli d’inchiesta si basano su prove documentate ottenute grazie al senso civico dei cittadini, che ci fanno arrivare il materiale correndo dei grossi rischi. Ogni giornale ha il taglio, e noi non nascondiamo il nostro. Ci impegniamo perché lo Sri Lanka diventi una democrazia trasparente, laica e libera. Trasparente perché il governo deve rispondere al popolo e non abusare della sua fiducia. Laica perché, in una società multietnica e multiculturale come la nostra, il laicismo è l’unico terreno comune. Liberale perché tutti gli esseri umani sono diversi e vanno accettati per quello che sono. E democratico: se c’è bisogno che vi spieghi perché, è meglio che smettiate di comprare questo giornale.

Il Sunday Leader non si è mai nascosto dietro alle opinioni della maggioranza. Abbiamo sostenuto che il terrorismo separatista va debellato ma che è più importante analizzarne le cause. Ci siamo anche battuti contro il terrorismo di stato nella cosiddetta guerra al terrore e non abbiamo taciuto il nostro orrore per il fatto che lo Sri Lanka è l’unico paese al mondo che bombarda regolarmente i suoi cittadini. Per questo siamo stati definiti traditori. Ma se questo è tradimento, allora ne siamo orgogliosi.

La nostra ostilità per la guerra non deve essere confusa con il sostegno delle Tigri. Le Tigri per la liberazione della patria Tamil (Ltte) sono una delle organizzazioni più spietate e sanguinarie del mondo e vanno eliminate. Tuttavia, combatterle violando i diritti dei cittadini tamil, bombardandoli e uccidendoli senza pietà, non solo è sbagliato ma disonora i singalesi. L’occupazione militare del nord e dell’est del paese costringeranno i tamil di quelle zone a vivere per sempre come cittadini di serie B. Non pensate di poterli placare ricoprendoli di “sviluppo” e ricostruzione” dopo la guerra. Le ferite si segneranno per sempre. Si sa che sono stato brutalmente aggredito in due occasioni e che, in una terza, hanno sparato raffiche di mitragliatrice contro casa mia. Malgrado le ipocrite dichiarazioni del governo, la polizia non ha mai aperto un’indagine seria per scoprire chi fossero gli autori delle aggressioni, ancora a piede libero. Ho motivo di credere che tutti e tre gli episodi siano stati ispirati dal governo. Quando sarò ucciso, il responsabile sarà il governo.

Ricordatevi questo: il Sunday leader esiste per voi, che siate singalesi, tamil, musulmani, di casta bassa, omosessuali, dissidenti o invalidi. Il suo staff continuerà a lottare, indomito e senza paura, con il coraggio a cui siete abituati. Non date per scontato questo impegno.

Sia ben chiaro che qualunque sacrificio facciamo noi giornalisti, non è per la gloria o per l’arricchimento personale: è per voi. Che lo meritiate o meno è un’altra questione. Quanto a me, Dio solo sa se ci ho provato.

Lasantha Wickramatunga

Lasantha Wickramatunga, chief editor del  Sunday Leader, è stato ucciso l’8 gennaio 2009, mentre si stava recando in ufficio.

Quello riportato sopra è il suo editoriale postumo.

Update: Qui sotto, la versione integrale in inglese. Perché non l’ho trovata prima!?

No other profession calls on its practitioners to lay down their lives for their art save the armed forces and, in Sri Lanka, journalism. In the course of the past few years, the independent media have increasingly come under attack. Electronic and print-media institutions have been burnt, bombed, sealed and coerced. Countless journalists have been harassed, threatened and killed. It has been my honour to belong to all those categories and now especially the last.

I have been in the business of journalism a good long time. Indeed, 2009 will be The Sunday Leader’s 15th year. Many things have changed in Sri Lanka during that time, and it does not need me to tell you that the greater part of that change has been for the worse. We find ourselves in the midst of a civil war ruthlessly prosecuted by protagonists whose bloodlust knows no bounds. Terror, whether perpetrated by terrorists or the state, has become the order of the day. Indeed, murder has become the primary tool whereby the state seeks to control the organs of liberty. Today it is the journalists, tomorrow it will be the judges. For neither group have the risks ever been higher or the stakes lower.

Why then do we do it? I often wonder that. After all, I too am a husband, and the father of three wonderful children. I too have responsibilities and obligations that transcend my profession, be it the law or journalism. Is it worth the risk? Many people tell me it is not. Friends tell me to revert to the bar, and goodness knows it offers a better and safer livelihood. Others, including political leaders on both sides, have at various times sought to induce me to take to politics, going so far as to offer me ministries of my choice. Diplomats, recognising the risk journalists face in Sri Lanka, have offered me safe passage and the right of residence in their countries. Whatever else I may have been stuck for, I have not been stuck for choice.

But there is a calling that is yet above high office, fame, lucre and security. It is the call of conscience.

The Sunday Leader has been a controversial newspaper because we say it like we see it: whether it be a spade, a thief or a murderer, we call it by that name. We do not hide behind euphemism. The investigative articles we print are supported by documentary evidence thanks to the public-spiritedness of citizens who at great risk to themselves pass on this material to us. We have exposed scandal after scandal, and never once in these 15 years has anyone proved us wrong or successfully prosecuted us.

The free media serve as a mirror in which the public can see itself sans mascara and styling gel. From us you learn the state of your nation, and especially its management by the people you elected to give your children a better future. Sometimes the image you see in that mirror is not a pleasant one. But while you may grumble in the privacy of your armchair, the journalists who hold the mirror up to you do so publicly and at great risk to themselves. That is our calling, and we do not shirk it.

Every newspaper has its angle, and we do not hide the fact that we have ours. Our commitment is to see Sri Lanka as a transparent, secular, liberal democracy. Think about those words, for they each has profound meaning. Transparent because government must be openly accountable to the people and never abuse their trust. Secular because in a multi-ethnic and multi-cultural society such as ours, secularism offers the only common ground by which we might all be united. Liberal because we recognise that all human beings are created different, and we need to accept others for what they are and not what we would like them to be. And democratic… well, if you need me to explain why that is important, you’d best stop buying this paper.

The Sunday Leader has never sought safety by unquestioningly articulating the majority view. Let’s face it, that is the way to sell newspapers. On the contrary, as our opinion pieces over the years amply demonstrate, we often voice ideas that many people find distasteful. For example,  we have consistently espoused the view that while separatist terrorism must be eradicated, it is more important to address the root causes of terrorism, and urged government to view Sri Lanka’s ethnic strife in the context of history and not through the telescope of terrorism. We have also agitated against state terrorism in the so-called war against terror, and made no secret of our horror that Sri Lanka is the only country in the world routinely to bomb its own citizens. For these views we have been labelled traitors, and if this be treachery, we wear that label proudly.

Many people suspect that The Sunday Leader has a political agenda: it does not. If we appear more critical of the government than of the opposition it is only because we believe that – pray excuse cricketing argot – there is no point in bowling to the fielding side. Remember that for the few years of our existence in which the UNP was in office, we proved to be the biggest thorn in its flesh, exposing excess and corruption wherever it occurred. Indeed, the steady stream of embarrassing expos‚s we published may well have served to precipitate the downfall of that government.

Neither should our distaste for the war be interpreted to mean that we support the Tigers. The LTTE are among the most ruthless and bloodthirsty organisations ever to have infested the planet. There is no gainsaying that it must be eradicated. But to do so by violating the rights of Tamil citizens, bombing and shooting them mercilessly, is not only wrong but shames the Sinhalese, whose claim to be custodians of the dhamma is forever called into question by this savagery, much of which is unknown to the public because of censorship.

What is more, a military occupation of the country’s north and east will require the Tamil people of those regions to live eternally as second-class citizens, deprived of all self respect. Do not imagine that you can placate them by showering “development” and “reconstruction” on them in the post-war era. The wounds of war will scar them forever, and you will also have an even more bitter and hateful Diaspora to contend with. A problem amenable to a political solution will thus become a festering wound that will yield strife for all eternity. If I seem angry and frustrated, it is only because most of my countrymen – and all of the government – cannot see this writing so plainly on the wall.

It is well known that I was on two occasions brutally assaulted, while on another my house was sprayed with machine-gun fire. Despite the government’s sanctimonious assurances, there was never a serious police inquiry into the perpetrators of these attacks, and the attackers were never apprehended. In all these cases, I have reason to believe the attacks were inspired by the government. When finally I am killed, it will be the government that kills me.

The irony in this is that, unknown to most of the public, Mahinda and I have been friends for more than a quarter century. Indeed, I suspect that I am one of the few people remaining who routinely addresses him by his first name and uses the familiar Sinhala address oya when talking to him. Although I do not attend the meetings he periodically holds for newspaper editors, hardly a month passes when we do not meet, privately or with a few close friends present, late at night at President’s House. There we swap yarns, discuss politics and joke about the good old days. A few remarks to him would therefore be in order here.

Mahinda, when you finally fought your way to the SLFP presidential nomination in 2005, nowhere were you welcomed more warmly than in this column. Indeed, we broke with a decade of tradition by referring to you throughout by your first name. So well known were your commitments to human rights and liberal values that we ushered you in like a breath of fresh air. Then, through an act of folly, you got yourself involved in the Helping Hambantota scandal. It was after a lot of soul-searching that we broke the story, at the same time urging you to return the money. By the time you did so several weeks later, a great blow had been struck to your reputation. It is one you are still trying to live down.

You have told me yourself that you were not greedy for the presidency. You did not have to hanker after it: it fell into your lap. You have told me that your sons are your greatest joy, and that you love spending time with them, leaving your brothers to operate the machinery of state. Now, it is clear to all who will see that that machinery has operated so well that my sons and daughter do not themselves have a father.

In the wake of my death I know you will make all the usual sanctimonious noises and call upon the police to hold a swift and thorough inquiry. But like all the inquiries you have ordered in the past, nothing will come of this one, too. For truth be told, we both know who will be behind my death, but dare not call his name. Not just my life, but yours too, depends on it.

Sadly, for all the dreams you had for our country in your younger days, in just three years you have reduced it to rubble. In the name of patriotism you have trampled on human rights, nurtured unbridled corruption and squandered public money like no other President before you. Indeed, your conduct has been like a small child suddenly let loose in a toyshop. That analogy is perhaps inapt because no child could have caused so much blood to be spilled on this land as you have, or trampled on the rights of its citizens as you do. Although you are now so drunk with power that you cannot see it, you will come to regret your sons having so rich an inheritance of blood. It can only bring tragedy. As for me, it is with a clear conscience that I go to meet my Maker. I wish, when your time finally comes, you could do the same. I wish.

As for me, I have the satisfaction of knowing that I walked tall and bowed to no man. And I have not travelled this journey alone. Fellow journalists in other branches of the media walked with me: most of them are now dead, imprisoned without trial or exiled in far-off lands. Others walk in the shadow of death that your Presidency has cast on the freedoms for which you once fought so hard. You will never be allowed to forget that my death took place under your watch. As anguished as I know you will be, I also know that you will have no choice but to protect my killers: you will see to it that the guilty one is never convicted. You have no choice. I feel sorry for you, and Shiranthi will have a long time to spend on her knees when next she goes for Confession for it is not just her owns sins which she must confess, but those of her extended family that keeps you in office.

As for the readers of The Sunday Leader, what can I say but Thank You for supporting our mission. We have espoused unpopular causes, stood up for those too feeble to stand up for themselves, locked horns with the high and mighty so swollen with power that they have forgotten their roots, exposed corruption and the waste of your hard-earned tax rupees, and made sure that whatever the propaganda of the day, you were allowed to hear a contrary view. For this I – and my family – have now paid the price that I have long known I will one day have to pay. I am – and have always been – ready for that. I have done nothing to prevent this outcome: no security, no precautions. I want my murderer to know that I am not a coward like he is, hiding behind human shields while condemning thousands of innocents to death. What am I among so many? It has long been written that my life would be taken, and by whom. All that remains to be written is when.

That The Sunday Leader will continue fighting the good fight, too, is written. For I did not fight this fight alone. Many more of us have to be – and will be – killed before The Leader is laid to rest. I hope my assassination will be seen not as a defeat of freedom but an inspiration for those who survive to step up their efforts. Indeed, I hope that it will help galvanise forces that will usher in a new era of human liberty in our beloved motherland. I also hope it will open the eyes of your President to the fact that however many are slaughtered in the name of patriotism, the human spirit will endure and flourish. Not all the Rajapakses combined can kill that.

People often ask me why I take such risks and tell me it is a matter of time before I am bumped off. Of course I know that: it is inevitable. But if we do not speak out now, there will be no one left to speak for those who cannot, whether they be ethnic minorities, the disadvantaged or the persecuted. An example that has inspired me throughout my career in journalism has been that of the German theologian, Martin Niem”ller. In his youth he was an anti-Semite and an admirer of  Hitler. As Nazism took hold in Germany, however, he saw Nazism for what it was: it was not just the Jews Hitler sought to extirpate, it was just about anyone with an alternate point of view. Niem”ller spoke out, and for his trouble was incarcerated in the Sachsenhausen and Dachau concentration camps from 1937 to 1945, and very nearly executed. While incarcerated, Niem”ller wrote a poem that, from the first time I read it in my teenage years, stuck hauntingly in my mind:

First they came for the Jews

and I did not speak out because I was not a Jew.

Then they came for the Communists

and I did not speak out because I was not a Communist.

Then they came for the trade unionists

and I did not speak out because I was not a trade unionist.

Then they came for me

and there was no one left to speak out for me.

If you remember nothing else, remember this: The Leader is there for you, be you Sinhalese, Tamil, Muslim, low-caste, homosexual, dissident or disabled. Its staff will fight on, unbowed and unafraid, with the courage to which you have become accustomed. Do not take that commitment for granted.  Let there be no doubt that whatever sacrifices we journalists make, they are not made for our own glory or enrichment: they are made for you. Whether you deserve their sacrifice is another matter. As for me, God knows I tried.

Via Google Reader Xlthlx’s shared items
Via Metilparaben
Via BBC News
Via The Sunday Leader

Campagna di Current.tv censurata: la parola agli autori

Ho trovato qui questo testo, scritto (da quel che ho capito) dagli autori della campagna pubblicitaria censurata dalla ATAC di Roma, con strane (e non coincidenti) motivazioni. Direi che il testo è da leggere, fino in fondo, più volte. E vorrei avere Sky, per riuscire a vedere quei due documentari, che sembrano in ogni caso interessanti.

Non ricordo il nome di un critico d’arte, della corrente formalista russa, che affermava qualcosa tipo: se all’inizio del racconto lo scrittore descrive un chiodo piantato nel muro, alla fine il protagonista dovrà impiccarsi con una corda fissata a quel chiodo.

Alludo alla pertinenza. Alludo a uno dei “comandamenti pubblicitari” di Bill Bernbach:

“sii provocatorio ma assicurati che gli stimoli nascano dal prodotto stesso. NON E’ GIUSTO mostrare in un annuncio pubblicitario un uomo messo a testa in giù solo per attirare l’attenzione. Ma E’ GIUSTO mettere un uomo a testa in giù per dimostrare che il prodotto impedisce alle cose di cadergli dalle tasche”.

Non abbiamo bucato la Bibbia con dei proiettili per profanare un testo sacro. Abbiamo voluto simboleggiare il tema dell’inchiesta Vanguard sui martiri della camorra. Un prete ucciso perché dava fastidio a un’associazione di criminali. Questo annuncio pubblicitario si propone di farvi vedere l’inchiesta. Perché lo merita.

Lo stesso discorso vale per l’annuncio sulla guerra segreta in Iran. Non dobbiamo avere paura di vedere un fucile in un annuncio pubblicitario. Semmai dovremmo avere paura di vedere esercito e ronde per le strade delle nostre città.

I Vanguard Journalist rischiano letteralmente la pelle andando nelle aree più “calde” del pianeta, là dove non arrivano altri media, per raccontarci quello che sta accadendo. O che è accaduto e nessuno ci ha raccontato. Sono le inchieste per chi si pone ancora delle domande, per chi cerca delle risposte. Il canale televisivo voluto da Al Gore ha un commitment preciso: se vuoi cambiare il mondo devi prima comprenderlo. Non è solo politica. E’ prima di tutto un pensiero. Quello che in Italia sembra spaventare tanto. Sembrano tutti atterriti dalla eventualità che noi italiani si torni ad avvertire una lontana necessità, quasi un remoto formicolio, come quando si è dormito troppo a lungo, di ricominciare a pensare. 25 anni di “mediasettizzazione” della TV hanno prodotto un devastante sortilegio al nostro paese. Addirittura peggiore dell’effetto procuratoci dai 9 anni (su 14) di governo Berlusconi. Ci hanno fottuto il senso critico” di una generazione”.

Abbiamo fatto una campagna di prodotto. Niente di più. Non ci teniamo proprio a essere visti come i nuovi Toscani della pubblicità. Quelle sono provocazioni gratuite. Le nostre sono e saranno sempre al servizio del prodotto. Vogliamo che si parli di questo. Non di cOOkies. A questo punto temo che anche i prossimi annunci finiscano nel mirino di qualche funzionario, pretore, o imbecille in cerca di pubblicità personale o semplicemente incompetente. Ma non sarà colpa della pubblicità. Sarà stupidità, o la paura di chi non vuole che noi italiani si possa esercitare la nostra facoltà di pensiero.

Tutto questo mi fa tornare in mente il “comandamento” con cui un bravissimo art director italiano (Agostino Toscana) chiosò una volta l’elenco dei comandamenti di Bill Bernbach: “Procurati al più presto un passaporto. E soprattutto usalo”. Lo scrisse almeno sei anni fa, forse sette. Prima o poi seguirò quel consiglio. Nel frattempo, vorrei tanto che questa ingiusta censura contribuisse a piantare un chiodo a cui si impiccasse la carriera politica di qualche incompetente.

La Bibbia e il fucile

Vanguard Current - Bibbia

Vanguard Current - Fucile

Ancora una volta è stata censurata una pubblicità, in Italia. In questo paese con la p minuscola ormai non si può, oltre che a parlare, neanche fare pubblicità. Ok, forse le immagini sono un po’ forti, ma non credo si possano mettere fiori e margherite per la campagna promozionale per queste due inchieste, giusto?

E son state censurate, per via del “difficile momento che sta vivendo la cittadinanza di Roma”, come spiegato chiaramente nel comunicato stampa diffuso da ATAC e pubblicato sul blog di Current TV:

Oggetto: richiesta autorizzazione all’esposizione pubblicitaria dei due soggetti “Bibbia” e “Fucile” della campagna pubblicitaria SKY.

Con riferimento alla richiesta relativa alla campagna in oggetto, pianificata a Roma dal 20 Febbraio, ATAC, dopo aver attentamente valutato i probabili impatti sulla sensibilità dei cittadini e della città tutta, ritiene di non poterne dare autorizzazione all’esposizione sui propri mezzi.

Tale decisione trova fondamento nel difficile momento che la cittadinanza di Roma sta vivendo riguardo alla percezione della sicurezza personale e sociale, in considerazione del quale ATAC non può che coadiuvare l’Amministrazione comunale nell’evitare qualunque elemento che possa ulteriormente aumentare tale disagio.

È, pertanto, la specifica situazione a costituire la chiave di lettura per l’applicazione dei riferimenti contenuti negli articoli 8 e 48 del vigente codice di autodisciplina pubblicitaria.

Distinti saluti.

La traduzione, suggerita da Suzukimaruti, suona più o meno così:

Cioè, tradotto in termini più comprensibili: i tempi sono bui, la gente si agita facilmente e noi dell’Azienda Trasporti dobbiamo aiutare il Sindaco Alemanno a tenere tutti buoni.

Il problema è che c’è di più:

E viene da domandarsi chi è che può avere paura di una video-indagine sui rapporti tra la Chiesa e la camorra, tanto da non volerne diffondere la pubblicità. E soprattutto viene da domandarsi da che parte stia chi, politicamente, non vuole dare l’opportunità alla gente di informarsi su un tema così forte e controverso.

Come al solito, il consiglio è di leggere fino in fondo il post di Suzukimaruti linkato qui sopra.

Via Insert Coin

Non mi stupisco più di tanto, ti dirò

Chi ne ha le possibilità, seriamente, lo dico al pischello che mi legge, che si guarda intorno, magari un pò intontito dalla mole di cose che accadono e che “forse” poco capisce : mio caro ragazzo, fatti una bella valigietta, fatti aiutare da mamma e papà se vuoi, ed emigra. Dona alla tua futura famiglia, un avvenire migliore. Qui da noi, è solo un lento declino, sappilo. Attenzione pischello caro, scegli però il tuo “nuovo” paese con attenzione, mi raccomando, eh.
E vi prego, vi prego, evitatemi tutti quei discorsi sulle nuove generazione, sulla nazione, sull’identità nazionale : puttanate.
Io per ora non posso davvero, oberato da cose da gestire e smaltire qui, ma ho giurato a me stesso che qui non ci muoio, estycazzy davvero.
Abbiamo già dato allo stivale nazionale, abbiamo già dato.

Via Beautiful Life