Alla fine gliel’ho detto.
Gli ho detto: la prima innovazione sarebbe quella di non fare mai più convegni sull’innovazione come questo. Ero nell’auditorium di Confindustria, mica nel tinello di casa.
Seduto al centro del tavolo presidenziale a mezzaluna, davanti a una platea che sonnecchiava ormai da un paio d’ore.
Facciamo un tavolo! era stata la proposta di uno del tavolo. No, facciamone quattro! aveva rilanciato un altro, evidentemente più ambizioso. Quattro bei tavoli e ci rivediamo tra un anno attorno a un quinto tavolo e vediamo quanto siamo stati innovatori!
Sembrava una riunione di falegnami.
Allora gli ho detto: mai più. Mai più un convegno sull’innovazione che non sia trasmesso in diretta su internet per dare modo a tutti di partecipare. Mai più in una sala senza wi-fi per collegarsi alla rete durante i lavori.
Mai più, ma questo sarebbe ovvio, in un posto dove non c’è nemmeno la presa per attaccare il pc e tutti scrivono a mano mentre parlano convinti della necessità di “digitalizzare l’Italia”. E mai più tavoli, gli ho detto. La digitalizzazione di questo paese non è una roba di destra o di sinistra: è una cosa da fare subito, senza tanti discorsi, copiando gli altri che l’hanno già fatta. Al limite il tavolo si fa online: una pagina wiki, dove tutti possano partecipare e postare idee.
Così è nata Wikipedia: do you know crowdsourcing? No, probabilmente.
Almeno a giudicare dal decreto anticrisi arrivato qualche giorno dopo: annuncia sconti del 50 per cento sulle tasse “per chi investe in macchinari”.
Bello, giusto. Quali? Quelli della cosiddetta tabella Ateco. Cioè? Rubinetti, tubi, pompe, forni, cuscinetti, gru…
Tutto, tranne l’hardware e il software.
L’innovazione del tubo.
Questo il coraggioso (e giustissimo) editoriale di Riccardo Luna su Wired Italia #6, quello di agosto.
Lo ammetto, il primo editoriale editoriale che apprezzo.
Che poi, in realtà , leggerlo qui sul web in plain text magari perde, ma leggerlo su Wired, con quel gioco sapiente di font-size è tutta un’altra storia.