Sinceramente non sono tanto contento di aver passato il test, più ché altro perchè salta fuori una possibile scelta che implica l’abbandono del lavoro e l’abbandono di questa parziale situazione di indipendenza economica.
Rimango in attesa delle graduatorie di Arte&Messaggio, però so già che la scelta sarà difficile. Tanti mi dicono che devo scegliere quel che ritengo migliore per me. Come se ciò semplificasse le cose. Purtroppo non si tratta solo di scegliere il percorso scolastico che mi farà crescere professionalmente. Si tratta di decidere dello sviluppo che avrà la mia vita. E ora come ora sono accecato dalla voglia di fuggire da questa casa. E ciò crea un’ansia tremenda pensando ai tre anni minimi di Design, tre anni da passare a casa. Quindi mi viene da prediligere A&M (sperando di essere ammesso).
Però ho superato ora l’esame per cui, quattro anni fa, avrei dovuto impormi al divieto dei miei. E ciò fa riemergere il sogno a lungo abbandonato in un cassetto di una laurea in Design.
Sempre che, in questo mondo, una laurea serva veramente a qualcosa..
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Stufo
Sono stufo.
E sono stanco.
Stanco di dover lottare per poter essere me stesso.
Stanco di dover faticare per farmi capire.
E non ho più voglia di sprecare energie, per nulla.
Io, sinceramente, getto la spugna.
SinceritÃ
A volte è difficile essere sinceri. A volte è più facile nascondere le cosa per evitare casini.
Ma si era deciso per la sincerità . E non capisco quindi perchè invertire la rotta.
Ovviamente ne è scaturito un putiferio.
Una discussione ancora una volta su frasi fatte e pregiudizi e affermazioni assolutamente fastidiose. Una discussione tra due teste cocciute e orgogliose che non sono in grado di fare un passo verso l’altro, mentre la terza accumulava il tutto.
E vederlo piangere, straziarsi per il dolore addossandosi la colpa di non essere stato presente, di non aver fatto tutto quel che doveva fare, è tremendo.
È tremendo sentirmi gelare il cuore vedendo il dolore provocato, è tremendo non riuscire a fargli capire che non è così.
È tremendo sentirmi dire che si sente vuoto e fallito per aver sbagliato tutto con me. E non riuscire a far nulla per farlo stare meglio.
Esagerazioni
L’impressione è che ora mi stiano un po’ troppo addosso.
Non come prima, oppressivi, in cui ogni risposta era sempre e solo NO.
Loro son lì, in ogni momento, dietro di me. E i giri di qui e di là , il giro in bicicletta (cosa mai fatta da anni e anni e anni), e mentre sono al computer, mentre sto studiando per il test..
Come se in questi pochi giorni vogliano recupare tutto quello che abbiamo, per un motivo o per un altro, perso in questi miei 23 anni di vita.
E se da una parte è bello, fa piacere, dall’altra, come ogni esagerazione, mi genera un senso di fastidio e diventa insopportabile
Sdraiato
Schiena sull’erba e sguardo fisso verso il cielo. Lassù le nuvole correvano veloci, unendosi e separandosi rapidamente tra loro, creando forme sempre nuove. E intanto parlava. Delle paure, delle preoccupazioni, di scuola, università e lavoro, di futuro. Del come si era giunti a questo punto, del dispiacere perchè mi ero tenuto tutto dentro, del rancore che cresceva e la difficoltà di dover gestire tutto da solo, di nascosto.
Poi, al momento di andarcene, io e mio padre, come due bambinetti, ci siam messi a schizzarci con l’acqua gelida della fontana, a inseguirci. La prima volta, nella mia vita, che facevo una cosa del genere.
Un istante di felicità e spensieratezza che mi ha riempito il cuore di gioia.
Politiche militari
Oggi a casa c’era un clima strano.
Una volta sveglio ho fatto un po’ esercizi per il test, con il papi di fianco che curiosava, chiedeva perchè davo quella risposta, che a lui i conti non tornavano. Poi, gli ho fetto vedere la busta paga, visto che non si capisce come facciano a calcolare le ferie. E abbiamo perso tempo su internet alla ricerca del contratto nazionale corretto e poi a tentare di capire cosa che cavolo volevano dire. Comunque una cosa è chiara: hanno sbagliato a calcolarmi le ferie.
Poi il pranzo, tranquillo, tutti allegri e felici e spensierati, a parlare di questo e di quello, della macchina riparata dal meccanico, della migrazione del sistema di produzione da lui e altro, un sacco di altre cose, come ormai non succedeva da un sacco.
Per quanto fosse tutto molto bello, c’era sempre un’alone sospeso.. insomma, don’t ask, don’t tell.
Post Scriptum
Volete sapere come ha fatto a capire tutto? Ma è ovvio, dall’anello, inequivocabile segno che in tuo figlio c’è qualcosa che non va.
L’arrivo a casa
Man mano che dalla grande cittá mi avvicinavo al paesello, saliva l’ansia. L’ansia di varcare la soglia di casa, trovarli magari svegli, ad aspettarmi.
E mentre il cancello automatico si apriva, esitavo, tanto che si è richiuso. Una telefonata ad una mia carissima amica, sperando che fosse sveglia. Un salto da lei, un paio di toast da mangiare e un po’ di compagnia. Pensando ad altro, guardandola in versione casalinga disperata mentre stirava cumuli di vestiti, mentre assieme al suo ragazzo tentavo di capire perché non funzionava più l’audio di Sky, armeggiando tra cavi impolverati di un’altra epoca.
E ora, l’arrivo a casa, nel mio letto.
E la voglia di essere lontano, altrove. Perché non credo di avere la forza di affrontare tutto ciò, non so cosa succederà domani, il terrore di dover affrontare discorsi che non sono in grado di affrontare.
La voglia di scappare, fuggire, evitare. Come sempre.
Come ho sempre fatto.
In ogni cosa.
Codardia?
Questa mattina
Ok. E’ successo. E credo che ormai ho già i ricordi confusi. Non so più cosa è successo prima o dopo.
Però è successo, dopo un risveglio un po’ così. E mentre stavo premendo il tasto publish dell’ultimo post, è iniziato tutto.
Perchè, come al solito, pensavo prima al mondo che ai miei genitori e poi, insomma, chissà a chi cavolo stavo scrivendo. Ed è iniziata la solita pappardella-monologo della madre.. che sono preoccupati, che non mi capiscono, che sono cambiato, che frequento brutte compagnie, che li ho coperti di bugie (e che loro non sono scemi e hanno capito tutto) e hanno iniziato col solito gioco del “c’è qualcosa che mi dovresti dire?”
Ma il tono che ha usato in tutto questo suo monologo è stato quanto di più odioso avessi mai sentito e con tutte le frase fatte che riusciva a dire, le stesse cose trite e ritrite mi facevano salire solo rabbia, su rabbia, su rabbia. Mi sono scaldato il latte, mentre lei continuava a parlare, l’ho bevuto con i miei biscotti e lei continuava a parlare e parlare e parlare e la cosa mi faceva semplicemente arrabbiare.
Poi me ne sono andato in camera, con la voglia di perpararmi per una doccia, ma lei mi ha bloccato, di forza, per non farmi andare in bagno. E da lì, non ricordo neanche più come, è scoppiata a piangere, un pianto disperato, che mi ha fatto accaponare la pelle e stare male anche io. L’ho accompagnata sul letto e l’unica cosa che mi è venuta in mente di fare è stata di prenderla, scoppiare anche io a piangere e abbracciarla, come non avevo mai fatto in vita mia. E piangeva, dicendo che era preoccupata, stava male e mi chiedeva di dirglielo, che se un’amicizia era andata troppo oltre, c’era sempre modo di tornare indietro e che mi potevano aiutare, che c’era sempre modo di cambiare, bastava parlare, che ci sono tante brave ragazze in giro e anche se si trova quella giusta a 30 o 40 anni non è un problema, che non ha senso che io vada a lavorare perchè la mia è l’età dello studio e che loro non hanno bisogno dei miei soldi. E non ricordo se gliel’ho detto in quel momento o dopo, quando ha tirato fuori qualcuno dei suoi cavoli di pregiudizi che mi hanno fatto completamente perdere le staffe e scappare in bagno a lavarmi.
Uscito fuori dal bagno, mi sistemo, mi vesto per uscire, per andare da qualcuno che non potevo resistere a casa. Ma non potevo. Aveva nascosto il mio mazzo di chiavi, quelle della macchina e aveva chiuso a chiave tutte le porte. E mi sono arrabbiato ancora di più, pretendendo di riavere indietro le mie chiavi e la mia libertà di uscire. Perchè nel frattempo, mi aveva accusato di averla quasi uccisa quando stava partorendo, di farla soffrire ancora più di quanto soffriva per la nonna e ad un certo punto si era messa pure a pregare, ad alta voce, la nonna, perchè le desse la forza di andare avanti. E inzialmente ho perso le staffe, perchè volevo uscire, non potevo sopportare tutte queste cose. Sei malato, non sei normale, cosa dirà la gente, ti sei scelto una strada difficile, ti porterà solo dolore. E volevo uscire, andarmene, correre da qualcuno con cui potessi sfogarmi. E lei mi aveva chiuso in casa. E come un pazzo, volevo uscire. Esagerando, forse, col senno di poi, le ho ricordato che sono maggiorenne e mi sta trattenendo con la forza. E che o mi faceva uscire, o avrei chiamato la polizia. E così si è calmata un attimo, ma poi ha ripreso, sempre le stesse cose. E io man mano minacciavo, salendo le scale, verso il telefono. Tanto che ero arrivato anche a comporre il numero. Solo che a quel punto la rabbia si era leggermente dissipata e ho potuto farle notare che non era tenendo bloccata una persona che poteva instaurare il dialogo. E se era un dialogo, quello che voleva, doveva ridarmi le chiavi e darmi la possibilità , se volevo, di uscire da casa, casa nostra, casa mia. E poi ancora, tranquilli, i pianti, gli abbracci. E continuava ad insistere sulla malattia. E in quel momento non ci ho visto più. A parte il fatto che non aveva ancora mantenuto la parola data di ridarmi le chiavi e riaprire la porta, continuava ad insistere. Preoccupata della strada di perdizione, la malattia, la gente cosa dirà , il dolore della scelta. Tentare di farle capire che non era una scelta ma che ero così e punto ed era solo da accettare e che anche io avevo impiegato tempo a lavorare su di me, a capirmi, ad accettarmi. E non capiva, non voleva capire, non voleva neanche provarci. E di nuovo la rabbia saliva, assieme alla mia incapacità di spiegarglielo e così l’idea di chiamare e prendere l’appuntamento con la dottoressa da cui ero andato (dopo sue insistenze) un anno fa. E allora voleva sapere lei cosa mi aveva detto, se anche la dottoressa diceva che ero veramente così. E la rabbia saliva, perchè non riuscivo a farle capire che non è una scelta, non è qualcosa che mi dovevano dire gli altri o che posso scegliere, come se fosse la maglietta che si sceglie la mattina. E la rabbia saliva, perchè non mi voleva fare uscire. Non voleva capire che non ero in grado di spiegarle molto, il perchè, il per come, se ce l’ho nel dna o è colpa loro. E così, come un pazzo, uscendo dalla stanza e salendo e scendendo le scale, mi è venuto solo da urlare che sono anni che l’organizzazione mondiale della sanità non la riconosce come una malattia e che, cavolo, non sono malato e fa male, molto male, sentirsi dire dalla propria madre che si è stati quasi causa della sua morte al momento del parto, fa male sentire tirare in ballo la povera Nonna, fa male tutto il resto.
Poi, non si sa come, ha capito che era meglio aprire la porta, ridarmi le mie chiavi. E voleva sapere dove andavo, perchè voleva essere sicura di dove andavo. E che questa sera, dopo il lavoro, sarei dovuto tornare a casa, subito, senza giri strani. Perchè, domani mattina, dobbiamo portare la macchina dal meccanico.
Risvegli
Io so solo che ora, nonostante la presenta tranquillità di ieri, sono in ansia.