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Soffoco

Non ce la faccio più. Ogni cosa che faccio è sbagliata, qualsiasi cosa chieda, dica, voglia è sempre no, no e no. Si mettono a fare i calcoli dei chilometri che faccio con la macchina, a controllare gli orari e i viaggi fatti col telepass, a leggere la mia posta e afrugare tra i documenti della mia banca. E va a finire che quel che mio non è mio, perchè mi spariscono i soldi dal portafogli o i buoni pasto dal carnet. Le mie cose vengono prese, spostate, spente, rovinate, buttate. E si permettono pure di sindacare sulle mie vacanze, sul fatto che tanto possiamo spendere anche di più, ed è meglio, perchè così è tutto più sicuro, più bello, meno bettola, perchè tanto i soldi, per una vacanza l’anno, li abbiamo. Peccato che, al momento, la mia vacanza l’ho pagata con i miei soldi. E loro non mi hanno dato assolutamente nulla, nè hanno proposto di darmi qualcosa.

Perchè non riescono a capire che ho bisogno dei miei spazi, che mi sento soffocare, che non possono starmi così addosso. Ho bisogno di vivere, fare i miei sbagli, essere libero di vedere i miei amici senza che loro si permettano di sindacare sul chi, quando e come posso vederli.

E io non riesco a gestire questa situazione. Non sopporto questo loro intromettersi nella mia vita. Si, ok, sono i miei genitori e un po’ è permesso. A me sembra che esagerino. Troppo.

E si litiga, si litiga e si litiga.

E io voglio solo andarmene, di qua.

Autoconsiderazioni

Ed eccomi qui come al solito davanti al computer, ad un’ora piuttosto tarda, a scrivere qualcosa. Con Madonna in sottofondo e un’occhio all’altra finestra, col Twitterworld che parla. E, dicevo, son qui a scrivere qualcosa.
Cosa non lo so, anche perchè mi rendo conto che non so scrivere. Non riesco ad essere così profondo come vorrei essere. Non riesco ad essere come altri. Che mi fanno provare grandi sensazioni quando leggo i loro post, sia che li conosca realmente che solo tramite questo mondo in versione 2.0.
Eppure son qui, tra questi byte, col mio blog. Che ultimamente sta diventando un po’ troppo noioso e che non aggiorno più molto spesso.
Forse perchè non so più di cosa parlare.
Forse perchè non riesco a parlare più di me.
Forse perchè non c’è nulla di cui parlare.
Ho deciso di non affidare al finto anonimato del web certe questioni importanti. Perchè è meglio parlarne di persona con il/la diretta interessato/a.
Visto che è l’unico modo per risolvere i problemi.
Sto tentando di essere meno polemico. E questo porta via molta materia prima al mio blog.

E le cose, alla fine, vanno bene. Con la family, a lavoro, con Love.

Certo, tra poco si avvicinerà il momento della scelta che incombe: decidere cosa fare a settembre.
Continuare a lavorare, studiare/lavorare o studiare e basta.
Perchè il lavoro, anche se non è esattamente quello che vorrei, mi piace ed è tutto sommato dignitoso, anche a livello economico.
Perchè di riprendere a studiare, ho paura. Di dovermi scontrare con lo spettro delle mie capacità. Il dover dimostrare di essere bravo in quello che voglio studiare. Perchè, prima, era facile. Mal che andava, potevo dire che non era quello che mi piaceva e mi pesava. E ritorna lo spettro dei ponti sotto cui vivere e il dare ragione a qualcuno.
Perchè abbandonare un lavoro bello e dignitoso, in questo periodo di presunta crisi e pessimismo non mi rende affatto sicuro e tranquillo. Se e quando avrò finito gli studi riuscirò a trovare lavoro? O a 30 anni farò ancora parte del precariato perenne?
E perchè devo scegliere. Arte&Messaggio. O Polimi con Design della Comunicazione. Da una parte una scuola che mi attira tantissimo, di soli due anni, che volendo si potrebbe coniugare con il lavoro, se riuscissi a trovare un monolocale/stanzino a Milano. Dall’altra parte la favoletta del pezzo di carta di una Laurea. Ma l’idea di dover affrontare, di nuovo, l’incubo università. Con lezioni, prove, esami.
Il tutto in attesa che a lavoro mi dicano qualcosa. Perchè non solo c’è il lavoro, ma c’è pure il rischio che mi propongano un contratto a tempo indeterminato.

Con la family, le cose vanno bene.
Sarò io quello più tranquillo e sereno. O forse sono gli orari che mi fanno vedere e comunicare con la family il minimo indispensabile. E così le cose vanno bene.
Però c’è un passo importante da fare.
Una cosa importante da comunicare.
E come tutte le cose importanti, è diffile.
Ma conoscendoli, ho bisogno di una mia ancora di salvezza.
E per questo ho sempre voluto essere indipendente il prima possibile. Proprio perchè ho paura di conoscerli.
E il lavoro e la forse quasi assunzione sono un passo molto importante verso l’essere indipendente.
Giusto per aumentare i miei mille dubbi.

E poi c’è Love.
O forse Love è prima di tutto.
Ma provo invidia nei suoi confronti.
Perchè ha potuto fare quel che ha voluto.
Per l’importanza che ha la sua famiglia.
Per i recenti sviluppi con la sua Mam.
Anche se c’è un minimo di paura latente.
Perchè sogno ad occhi aperto un lungo futuro per il nostro amore.
E paura che questa sostanziale differenza tra le nostre situazioni possa diventare, nel lungo periodo, un peso, un ostacolo.
Ma ho anche paura di affrontare la cosa.
E dover così scoprire se l’ancora di salvezza era veramente necessaria oppure no.

(Happy) ending?

E’ finita.
O meglio, è finito.
E’ finito il muoversi senza senso delle mie viscere, contorte in una tremenda indecisione, ancora una volta, sulla mossa giusta da fare nella complicata scacchiera della mia vita.
La decisione di fondo c’era. Da un po’. Ma c’era da fare il difficile passo di dichiare la mia sconfitta nei confronti dei sogni e delle aspettative che altri avevano in me. E il difficile era affrontare questi altri. Trovare il modo di dire tutto, con calma, senza scene da soap opera di bassa lega o pianti isterici. Trovare il modo di evitare il litigio, unica nostra forma di comunicazione accettata da un po’ di tempo a questa parte.
E tra una storia e l’altra, proprio con un litigio, è saltato fuori tutto. Dopo la provocazione (non accolta) del “ti tagliamo i viveri”, a cui d’istinto volevo reagire salendo di sopra, prendendo il bollettino per pagare la retta e strapparlo, con un gesto plateale urlando “e allora iniziamo a tagliare questo”. Ma non so come, sono riuscito a trattenermi.
Oggi invece.. tutto, bene o male, per un’uscita non comunicata di mezz’ora. Per un semaforo rosso di troppo, sono arrivato a casa dopo di loro. Tragedia. Perchè ecco, io sono sempre in giro, me ne frego dei miei doveri, e di qui e di là. Ovviamente cominicato al telefono, mentre ero a 500m in linea d’aria dal cancello di casa. Secca la mia non risposta: tastino rosso sul cell. Altre 3 chiamate, dirottate direttamente alla segreteria. Lascio fuori la macchina, consapevole di dover uscire dopo. Entro in casa. Litigio. Col papi, in realtà.
Che si è trasformato, non so come, in un pianto. Perchè, di questa vita, su libri lontani anni luci dal mio io attuale, non ce la faccio più. Mi chiede se ho progetti, li espongo, lui non si sbilancia.
Ma tanto c’è l’altra genitrice dietro la porta ad origliare e che entra di getto nella pacifica discussione urlando e sbraitando. Perchè io devo finire, perchè ce l’hanno fatta cani e asini ed è impossibile che io non ce la faccia. E che lei, che non mi ha mai aiutato nello studio in vita mia, ha deciso che è ora che inizi a farlo. Continuano le discussioni. Dimostrando un selfcontrol che credevo di non avere. Mentre dall’altra parte erano quasi solo urla.
Poi, non ricordo come, fino primo round. Attivo msn, non avendo il cell temporaneamente usabile, per organizzare la serata, che credevo fosse abbastanza già organizzata.
Ma prima di riuscire a chattare qualcosa, ritorna la leonessa con il round 2. Un suo lunghissimo monologo, in cui mi era stato vietato rispondere. Perchè siamo persone civili, quindi prima lei, poi io, se avrò qualcosa da dire. Il monologo dura un’oretta circa. Finalmente finisce. Inizio a controbattere. E vengo interrotto. Perchè ha da obiettare. Tento di far presente il perchè siamo persone civili, quindi prima lei, poi io, se avrò qualcosa da dire. Ma dice che comunque non vale: io figlio, lei madre. E se ne frega, di quello che dico. Perchè sono io che ho sensazioni sbagliate, sono io che sbaglio questo, sono io che sbaglio quello. Grazie mille.
E poi inizia la discussione sull’uscire la sera. Perchè sono stato fuori un sacco di volte in settimana. E’ vero. Errore mio. Ma solo per evitare che il cervello andasse in loop logorandosi sullo stesso dubbio almetico, 24h su 24h. Un dubbio che mi ha fatto addormentare ancora più faticosamente del solito. Il dubbio che mi teneva sveglio, anche dopo essere tornato a casa tardi, aver tentato di dormire per ore, la visione di qualche telefilm, possibilmente soporifero. Nulla ha funzionato. E poi, quando finalmente mi addormentavo, era già ora di svegliarsi. Cosa che non succedeva. E portava ad ulteriori litigate, perchè ormai prendo la notte per il giorno.
Ma vabbè. Alla fine, saltano fuori delle sue amicizie. Qualche professore in licei artistici, che forse mi sanno dare qualche consiglio. Ma queste amicizie saltano fuori solo ora, dopo 4 anni?
Alla fine chiedono se voglio mangiare qualcosa, ma rispondo di no. E se ne vanno su a mangiare, mentre tento di prepararmi e mettere in moto la macchina organizzativa per la serata.
Ma ahimè. Ho scoperto che ieri sera l’ho combinata grossa. Sono uscito, anche a cena, per fare la spalla su cui piangere. Pensando che – gira e rigira – la sera prima mi sono sentito un po’ messo da parte, venendo a conoscenza del progetto ritiro mostra + aperitivo (rivelatosi poi lunghissimo) a giochi quasi fatti. Perchè potevo autoinvitarmi e fare il quarto. Ma c’era il dubbio dell’occupazione dei pannelli della mostra, che magari necessitavano di occupare proprio il posto del quarto passeggero. E non volevo creare casini del “vado io, no vai tu” al trio che si era già organizzato, a modo suo.
Ma ahimè. Ho scoperto che ieri sera l’ho combinata grossa. Sono uscito, anche a cena, per fare la spalla su cui piangere. Pensando, egoisticamente, che così non avrei pensato ai miei casini, impegnato a consolare altri.
Ma ahimè. Ho scoperto che ieri sera l’ho combinata grossa. Sono uscito, anche a cena, per fare la spalla su cui piangere. Senza considerare più di tanto la pizzata di classe e un’invito. A cui, sinceramente parlando, non mi convinceva troppo. Per l’odio e il terrore (reciproco) tra me e i bambini, per l’andare a casa di “altri” che non conoscevo (indipendentemente dalle attenuanti di parentela che questi “altri” avevano). E comunque confidando che in ogni caso ci saremmo visti il giorno successivi, cenando insieme con amici, in una casa favolosa e passando una bella serata, che poteva anche finire presto, per far spazio alle calde copertine Ikea©.
Ed è così che oggi, oltre ai disastri con i miei, è venuto a mancare il pilastro di cuori rossi a cui appoggiarmi, con cui sfogarmi e da stringere forte facendolo mio. E così ho passato tutta la serata tendenzialmente annoiandomi, ubriacandomi di acqua frizzante e di coca-cola, intossicandomi di fumo passivo, mentre ero trascinato a forza dello scorrere delle carte e del tempo verso un tristissimo player-out. Bloccato dal terrore di fondo di aver perso per sempre quel pilastro.
Pensando che se dovesse veramente mancare quel pilastro, io crollerei a terra. E non so se riuscirei ad alzarmi. Non ora, non in queste condizioni.