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Commenti a freddo su Raiperunanotte

Ok, oggi è il domani di ieri sera.

E sono arrivate le prime solite notizie previste:

È partita la guerra dello Share con Auditel parla di 13% totale (escludendo gli streaming web), mentre la RAI smentisce e parla si e no di un 3-4% massimo. Intanto Current su twitter parla di “1.039.000 telespettatori solo su Current (in media 538.000 al minuto). 9,13% di share sulla piattaforma SKY”.

Berlusconi definisce la trasmissione inaccettabile, attacca Santoro e c’è già chi si sta muovendo per provvedimenti disciplinari nei confronti di Santoro.

C’è una trendmap simile a quella che avevo postata ieri, ma che include il confronto con altre parole chiave. Risultato? Ieri sera il tag #raiperunanotte ha quasi raggiunto il volume di #obama su twitter. (ringraziando Ezekiel per il monitoraggio e il tweet)

Questo invece il trend geografico, ringraziando sempre Ezekiel, che evidenzia ancora il digital divide che regna nel Sud Italia:

Poi, alcune segnalazioni di post (a mio avviso) interessanti:

Rai per una notte: era o non era TV? su Media-Mondo
Santoro, lo share e la rivoluzione su Crisis? What crisis?
L’insostenibile leggerezza di minimizzare su Telemac0
“Rai per una notte” ex post di Roberta Milano
Raiperunanotte e la distribuzione dei contenuti televisivi di Nicola Mattina

E giusto per la cronaca, mi ha fatto un certo effetto comparire sulla pagina di Twazzup come uno dei maggiori influencer relativo all’evento e ricevere un sacco di retweet 🙂


Aggiornerò il post man mano che troverò nuovi post interessanti

Toh, un cuoco! – Commento a caldo per Raiperunanotte

È finito da poco Raiperunanotte.

Le cifre sono impressionanti: 120.000 utenti unici in streaming collegati a live.raiperunanotte.it, quelli collegati dalle home dei vari giornali, diversi canali televisivi terrestri (locali e non), il supporto satellitare di Current.tv, alcune radio (circuito Radio Popolare ma anche RadioNation1 via web), gruppi d’ascolto in 200 piazze d’Italia oltre a tutta la gente fuori dal palazzetto di Bologna teatro dell’evento. E poi gli sponsor (prima tra tutti Fastweb) e le donazioni (50mila donazioni da 2.5€) per finanziare la trasmissione.

Notevoli, veramente notevoli gli interventi di tutti partecipanti, a partire da uno scoppettante Luttazzi (finalmente in “tv” dopo 8 anni), passando per Lerner, Travaglio (1 e 2), Gabanelli, Monicelli, Vauro, Crozza, Santoro. Unica stonata, forse Morgan, chiamato perché escluso, ma che non è riuscito (per un motivo o per un altro) a fare un discorso sensato con dei contenuti e ha interrotto senza possibilità di rimediare Iacona.

Non più talkshow con politici litiganti, ma un vero e proprio evento che è riuscito a mescolare i mezzi di comunicazione. Interessante come un format, Annozero, tutto sommato vecchio e noioso che nasce dalla tv, si sia è trasformaro in altro, finendo principalmente sul web e riescendo a generare un’ondata di commenti tramite l’hashtag #raiperunanotte (qui su Twazzup), tanto da incuriosire anche utenti Twitter di altre nazioni. Si parla di oltre 4000 tweet all’ora, record storico per l’Italia e secondo Trendistic, si è raggiunti lo 0,18% (anche se avevo visto anche un 0,19) di tweet sul totale. Un numero veramente impressionante, calcolando la diffusione di Twitter in Italia rispetto al resto del mondo

Un mix di mezzi, che porta anche l’esperienza della “tv” ad un altro livello, abbandonando la passività e rendendola invece attiva, commentabile. Genera discussioni in realtime e ulteriore diffusione per l’evento. Ma come dice Vittorio Zambardino:

Domani si vedrà meglio tutto ciò che è successo

[…]

Ma forse la cosa più probabile è che scoppi qualche “scandalo” e che si riprenda a discutere di “regolare il web”

che si lega indissolubilmente al dubbio che compare su L’Espresso:

Ma Raiperunanotte, […] è stato anche il battesimo di una nuova televisione: quella che non ha paura, quella che è forse normale in tutti i paesi dell’occidente, ma che da noi è diventato impossibile fare.

Non si sa ancora se è una televisione possibile, o se rimarrà l’esperienza di una sera: ma guardando e ascoltando gli ospiti di Santoro parlare, veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se per quindici anni non fosse stata anestetizzata da una comunicazione omologata, paludata, autocensurata anche nelle trasmissioni meno controllabili dal governo, come quelle di Floris e Santoro. Veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se i telegiornali non fossero – sempre, anche nei periodi in cui Berlusconi non è stato al governo – dei grandi silenziatori e degli inesorabili frenatori.

Per chi si fosse perso Raiperunanotte, è qui su RepubblicaTV, mentre sul Corriere c’è un buon riassunto dei passi più salienti della trasmissione.

Giornalismo all’italiana

Il giornalista televisivo Michele Santoro ha osato porre pubblicamente delle domande critiche in relazione al terremoto de L’ Aquila. Ora e’ messo alla gogna dai media di Berlusconi.

“I morti non lo fermano, nessuna emozione che potrebbe farlo smettere.” Il critico televisivo del Corriere della Sera, Aldo Grasso, schiuma di indignazione riguardo la trasmissione del celebre giornalista sul terremoto. Ora, dopo il disastro in Abruzzo che ha causato la morte di circa 300 persone, l’Italia ha il suo scandalo. Esso tuttavia non riguarda la questione delle ragioni per cui un terremoto di moderata intensita’ abbia pero’ causato cosi’ tante vittime o per le quali addirittura un moderno ospedale e una moderna casa dello studente siano potuti crollare.Per Aldo Grasso è scandaloso solo Santoro. Nella sua trasmissione “Annozero” dello scorso giovedi’ su RAI 2, Santoro aveva posto alcune domande scomode. Ad esempio, perché la protezione civile non avesse alcun piano di emergenza per la provincia de L’Aquila nononstante in quella zona fossero stati ripetutamente registrati fenomeni sismici da tre mesi. O perché le avvertenze di uno scienziato per l’arrivo di una forte scossa siano state ignorate e additate di essere una sciocchezza.Tali domande sono da considerarsi semplicemente illecite. Martedì dopo Pasqua, il quotidiano “Il Giornale” ha dedicato addirittura le prime sei pagine a questo “scandalo”. Titolo: “Santoro è ormai con le spalle al muro.” Il giornalista si deve sentir chiamare “cannibale”, “sciacallo”, uno che “vuole aumentare l’audience speculando sulle tragedie”. Santoro aveva dimenticato una cosa: un terremoto in Italia è dopotutto anche un terremoto a Berlusconilandia. Santoro avrebbe solo dovuto vedere le notizie dei telegiornali sui tre canali della RAI controllati dalla maggioranza al governo e sui canali Mediaset appartenenti alla famiglia Berlusconi per capire quale tono si deve usare. Una catastrofe naturale ha colpito pesantemente la gente in Abruzzo, ingenti aiuti e molti volontari sono al lavoro, il governo, a partire dalla presenza pressoche’ quotidiana di Berlusconi in Abruzzo, è sul posto e dà il meglio di sé. Allo stesso modo vengono scritti gli articoli nella maggior parte dei quotidiani: mediaticamente l’Italia si è coalizzata per affrontare il duro colpo del destino. “I Ministri al lavoro, in prima fila” scrive ad esempio “Il Giornale”. “Alfano, Zaia, La Russa, Tremonti, Bossi e Calderoli sono tra la gente al fine di coordinare le operazioni”. Vero è che circa i sei ministri in questione si sono recati sul luogo del disastro, un successo dal punto di vista mediatico, ma non hanno coordinato nulla. Invece, è considerato indecente se un reporter della squadra di Santoro scuote la testa per il fatto che, anche quattro giorni dopo il terremoto, al quartier generale delle operazioni di soccorso de L’Aquila non e’ stato ancora nominato un coordinatore delle varie unita’ di soccorso. Questo è sputare nel piatto in cui mangia. Santoro avrebbe “gettato fango” sui vigili del fuoco e gli uomini della protezione civile che si stanno sacrificando in servizio, e’ quanto affermano i critici. È vero il contrario: Anche Santoro non risparmia gli encomi e le lodi per le migliaia di soccorritori. Egli ha pero’ anche riportato dei fatti che danno fastidio alla volonta’ di dare un’ immagine di operazione di soccorso quasi perfetta. Cosi’ in molti paesi di montagna dove diverse persone hanno perso la casa, molti sono rimasti senzatetto per giorni, senza alcun aiuto ed hanno dovuto passare la notte nelle loro auto perché le tende non erano state montate. I media italiani non ci trovano invece nulla di scandaloso quando Berlusconi, contro ogni evidenza emette a L’Aquila una prima sentenza sui costruttori che avevano messo in piedi dei palazzi di burro che sono poi crollati come dei castelli di carta. Tra le macerie, il Primo Ministro dice di non aver notato “nessuna carenza che possa derivare da comportamenti irresponsabili”. E cio’ viene ovviamente subito riportato dai media senza ulteriori commenti. Al momento, in Italia non sono consentite domande. Tutt’altro che scandaloso viene visto il giornalismo talora da lacrime che viene presentato da giorni. Come quando ad esempio, una reporter ha molto meschinamente chiesto ai piangenti familiari di un giovane, morto sotto le macerie: “Può darci anche un segnale di fiducia?” Solo questo segnale è auspicabile in ultima analisi. E nessuno ha accusato questa domanda macabra di sciacallaggio mediatico.

questo articolo, a firma di michael braun, sulla taz della settimana scorsa.

Via 3n0m15′

Passiamo alle notizie serie °1

Le donne si sposano con Giovanni, il ricco ingegnere, ma poi sognano Gino il muratore.

Parola di Annamaria Bernardini De Pace. Sì, quella lì.

Se il tradimento fosse ancora punito per legge, infatti, secondo l’avvocato, le prigioni italiane sarebbero piene tanto di uomini quanto di donne: il numero delle scappatelle è in costante crescita, specialmente tra le donne, visto che il 64% dice che, se ne avesse la possibilità, tradirebbe il compagno. Secondo gli esperti la scappatella oggi funziona come un antidepressivo naturale, che regala l’occasione di uscire dalla monotonia della quotidianità. […] Al centro dei desideri proibiti al femminile c’è il vero maschio, l’uomo forte e muscoloso, “la sostanza”.

via Ansa.it

Lasantha Wickramatunga: il testamento di un giornalista

In Sri Lanka c’è un mestiere, oltre a quello del soldato, che richiede il sacrificio della vita. È il lavoro del giornalista. Negli ultimi anni i mezzi d’informazione indipendenti hanno subìto un numero crescente di attacchi. Le loro sedi sono state bruciate, bombardate o chiuse. Molti giornalisti sono stati intimiditi, minacciati e uccisi. Per me è stato un onore appartenere a tutte queste categorie, in particolare, negli ultimi tempi, all’ultima.

Lavoro nel giornalismo da tanto tempo. Nel 2009 il Sunday Leader compie quindici anni.

In questo periodo sono cambiate molte cose nello Sri Lanka, soprattutto in peggio. Siamo nel pieno di una guerra civile combattuta da individui assetati di sangue. Il terrore, che venga dei terroristi o dallo stato è all’ordine del giorno. L’omicidio è il principale strumento con cui lo stato tenta di controllare chi difende le libertà civili. Oggi sono i giornalisti, domani saranno i giudici.

Il Sunday Leader è un giornale controverso perché noi chiamiamo le cose con il loro nome. Non usiamo eufemismi. I nostri articoli d’inchiesta si basano su prove documentate ottenute grazie al senso civico dei cittadini, che ci fanno arrivare il materiale correndo dei grossi rischi. Ogni giornale ha il taglio, e noi non nascondiamo il nostro. Ci impegniamo perché lo Sri Lanka diventi una democrazia trasparente, laica e libera. Trasparente perché il governo deve rispondere al popolo e non abusare della sua fiducia. Laica perché, in una società multietnica e multiculturale come la nostra, il laicismo è l’unico terreno comune. Liberale perché tutti gli esseri umani sono diversi e vanno accettati per quello che sono. E democratico: se c’è bisogno che vi spieghi perché, è meglio che smettiate di comprare questo giornale.

Il Sunday Leader non si è mai nascosto dietro alle opinioni della maggioranza. Abbiamo sostenuto che il terrorismo separatista va debellato ma che è più importante analizzarne le cause. Ci siamo anche battuti contro il terrorismo di stato nella cosiddetta guerra al terrore e non abbiamo taciuto il nostro orrore per il fatto che lo Sri Lanka è l’unico paese al mondo che bombarda regolarmente i suoi cittadini. Per questo siamo stati definiti traditori. Ma se questo è tradimento, allora ne siamo orgogliosi.

La nostra ostilità per la guerra non deve essere confusa con il sostegno delle Tigri. Le Tigri per la liberazione della patria Tamil (Ltte) sono una delle organizzazioni più spietate e sanguinarie del mondo e vanno eliminate. Tuttavia, combatterle violando i diritti dei cittadini tamil, bombardandoli e uccidendoli senza pietà, non solo è sbagliato ma disonora i singalesi. L’occupazione militare del nord e dell’est del paese costringeranno i tamil di quelle zone a vivere per sempre come cittadini di serie B. Non pensate di poterli placare ricoprendoli di “sviluppo” e ricostruzione” dopo la guerra. Le ferite si segneranno per sempre. Si sa che sono stato brutalmente aggredito in due occasioni e che, in una terza, hanno sparato raffiche di mitragliatrice contro casa mia. Malgrado le ipocrite dichiarazioni del governo, la polizia non ha mai aperto un’indagine seria per scoprire chi fossero gli autori delle aggressioni, ancora a piede libero. Ho motivo di credere che tutti e tre gli episodi siano stati ispirati dal governo. Quando sarò ucciso, il responsabile sarà il governo.

Ricordatevi questo: il Sunday leader esiste per voi, che siate singalesi, tamil, musulmani, di casta bassa, omosessuali, dissidenti o invalidi. Il suo staff continuerà a lottare, indomito e senza paura, con il coraggio a cui siete abituati. Non date per scontato questo impegno.

Sia ben chiaro che qualunque sacrificio facciamo noi giornalisti, non è per la gloria o per l’arricchimento personale: è per voi. Che lo meritiate o meno è un’altra questione. Quanto a me, Dio solo sa se ci ho provato.

Lasantha Wickramatunga

Lasantha Wickramatunga, chief editor del  Sunday Leader, è stato ucciso l’8 gennaio 2009, mentre si stava recando in ufficio.

Quello riportato sopra è il suo editoriale postumo.

Update: Qui sotto, la versione integrale in inglese. Perché non l’ho trovata prima!?

No other profession calls on its practitioners to lay down their lives for their art save the armed forces and, in Sri Lanka, journalism. In the course of the past few years, the independent media have increasingly come under attack. Electronic and print-media institutions have been burnt, bombed, sealed and coerced. Countless journalists have been harassed, threatened and killed. It has been my honour to belong to all those categories and now especially the last.

I have been in the business of journalism a good long time. Indeed, 2009 will be The Sunday Leader’s 15th year. Many things have changed in Sri Lanka during that time, and it does not need me to tell you that the greater part of that change has been for the worse. We find ourselves in the midst of a civil war ruthlessly prosecuted by protagonists whose bloodlust knows no bounds. Terror, whether perpetrated by terrorists or the state, has become the order of the day. Indeed, murder has become the primary tool whereby the state seeks to control the organs of liberty. Today it is the journalists, tomorrow it will be the judges. For neither group have the risks ever been higher or the stakes lower.

Why then do we do it? I often wonder that. After all, I too am a husband, and the father of three wonderful children. I too have responsibilities and obligations that transcend my profession, be it the law or journalism. Is it worth the risk? Many people tell me it is not. Friends tell me to revert to the bar, and goodness knows it offers a better and safer livelihood. Others, including political leaders on both sides, have at various times sought to induce me to take to politics, going so far as to offer me ministries of my choice. Diplomats, recognising the risk journalists face in Sri Lanka, have offered me safe passage and the right of residence in their countries. Whatever else I may have been stuck for, I have not been stuck for choice.

But there is a calling that is yet above high office, fame, lucre and security. It is the call of conscience.

The Sunday Leader has been a controversial newspaper because we say it like we see it: whether it be a spade, a thief or a murderer, we call it by that name. We do not hide behind euphemism. The investigative articles we print are supported by documentary evidence thanks to the public-spiritedness of citizens who at great risk to themselves pass on this material to us. We have exposed scandal after scandal, and never once in these 15 years has anyone proved us wrong or successfully prosecuted us.

The free media serve as a mirror in which the public can see itself sans mascara and styling gel. From us you learn the state of your nation, and especially its management by the people you elected to give your children a better future. Sometimes the image you see in that mirror is not a pleasant one. But while you may grumble in the privacy of your armchair, the journalists who hold the mirror up to you do so publicly and at great risk to themselves. That is our calling, and we do not shirk it.

Every newspaper has its angle, and we do not hide the fact that we have ours. Our commitment is to see Sri Lanka as a transparent, secular, liberal democracy. Think about those words, for they each has profound meaning. Transparent because government must be openly accountable to the people and never abuse their trust. Secular because in a multi-ethnic and multi-cultural society such as ours, secularism offers the only common ground by which we might all be united. Liberal because we recognise that all human beings are created different, and we need to accept others for what they are and not what we would like them to be. And democratic… well, if you need me to explain why that is important, you’d best stop buying this paper.

The Sunday Leader has never sought safety by unquestioningly articulating the majority view. Let’s face it, that is the way to sell newspapers. On the contrary, as our opinion pieces over the years amply demonstrate, we often voice ideas that many people find distasteful. For example,  we have consistently espoused the view that while separatist terrorism must be eradicated, it is more important to address the root causes of terrorism, and urged government to view Sri Lanka’s ethnic strife in the context of history and not through the telescope of terrorism. We have also agitated against state terrorism in the so-called war against terror, and made no secret of our horror that Sri Lanka is the only country in the world routinely to bomb its own citizens. For these views we have been labelled traitors, and if this be treachery, we wear that label proudly.

Many people suspect that The Sunday Leader has a political agenda: it does not. If we appear more critical of the government than of the opposition it is only because we believe that – pray excuse cricketing argot – there is no point in bowling to the fielding side. Remember that for the few years of our existence in which the UNP was in office, we proved to be the biggest thorn in its flesh, exposing excess and corruption wherever it occurred. Indeed, the steady stream of embarrassing expos‚s we published may well have served to precipitate the downfall of that government.

Neither should our distaste for the war be interpreted to mean that we support the Tigers. The LTTE are among the most ruthless and bloodthirsty organisations ever to have infested the planet. There is no gainsaying that it must be eradicated. But to do so by violating the rights of Tamil citizens, bombing and shooting them mercilessly, is not only wrong but shames the Sinhalese, whose claim to be custodians of the dhamma is forever called into question by this savagery, much of which is unknown to the public because of censorship.

What is more, a military occupation of the country’s north and east will require the Tamil people of those regions to live eternally as second-class citizens, deprived of all self respect. Do not imagine that you can placate them by showering “development” and “reconstruction” on them in the post-war era. The wounds of war will scar them forever, and you will also have an even more bitter and hateful Diaspora to contend with. A problem amenable to a political solution will thus become a festering wound that will yield strife for all eternity. If I seem angry and frustrated, it is only because most of my countrymen – and all of the government – cannot see this writing so plainly on the wall.

It is well known that I was on two occasions brutally assaulted, while on another my house was sprayed with machine-gun fire. Despite the government’s sanctimonious assurances, there was never a serious police inquiry into the perpetrators of these attacks, and the attackers were never apprehended. In all these cases, I have reason to believe the attacks were inspired by the government. When finally I am killed, it will be the government that kills me.

The irony in this is that, unknown to most of the public, Mahinda and I have been friends for more than a quarter century. Indeed, I suspect that I am one of the few people remaining who routinely addresses him by his first name and uses the familiar Sinhala address oya when talking to him. Although I do not attend the meetings he periodically holds for newspaper editors, hardly a month passes when we do not meet, privately or with a few close friends present, late at night at President’s House. There we swap yarns, discuss politics and joke about the good old days. A few remarks to him would therefore be in order here.

Mahinda, when you finally fought your way to the SLFP presidential nomination in 2005, nowhere were you welcomed more warmly than in this column. Indeed, we broke with a decade of tradition by referring to you throughout by your first name. So well known were your commitments to human rights and liberal values that we ushered you in like a breath of fresh air. Then, through an act of folly, you got yourself involved in the Helping Hambantota scandal. It was after a lot of soul-searching that we broke the story, at the same time urging you to return the money. By the time you did so several weeks later, a great blow had been struck to your reputation. It is one you are still trying to live down.

You have told me yourself that you were not greedy for the presidency. You did not have to hanker after it: it fell into your lap. You have told me that your sons are your greatest joy, and that you love spending time with them, leaving your brothers to operate the machinery of state. Now, it is clear to all who will see that that machinery has operated so well that my sons and daughter do not themselves have a father.

In the wake of my death I know you will make all the usual sanctimonious noises and call upon the police to hold a swift and thorough inquiry. But like all the inquiries you have ordered in the past, nothing will come of this one, too. For truth be told, we both know who will be behind my death, but dare not call his name. Not just my life, but yours too, depends on it.

Sadly, for all the dreams you had for our country in your younger days, in just three years you have reduced it to rubble. In the name of patriotism you have trampled on human rights, nurtured unbridled corruption and squandered public money like no other President before you. Indeed, your conduct has been like a small child suddenly let loose in a toyshop. That analogy is perhaps inapt because no child could have caused so much blood to be spilled on this land as you have, or trampled on the rights of its citizens as you do. Although you are now so drunk with power that you cannot see it, you will come to regret your sons having so rich an inheritance of blood. It can only bring tragedy. As for me, it is with a clear conscience that I go to meet my Maker. I wish, when your time finally comes, you could do the same. I wish.

As for me, I have the satisfaction of knowing that I walked tall and bowed to no man. And I have not travelled this journey alone. Fellow journalists in other branches of the media walked with me: most of them are now dead, imprisoned without trial or exiled in far-off lands. Others walk in the shadow of death that your Presidency has cast on the freedoms for which you once fought so hard. You will never be allowed to forget that my death took place under your watch. As anguished as I know you will be, I also know that you will have no choice but to protect my killers: you will see to it that the guilty one is never convicted. You have no choice. I feel sorry for you, and Shiranthi will have a long time to spend on her knees when next she goes for Confession for it is not just her owns sins which she must confess, but those of her extended family that keeps you in office.

As for the readers of The Sunday Leader, what can I say but Thank You for supporting our mission. We have espoused unpopular causes, stood up for those too feeble to stand up for themselves, locked horns with the high and mighty so swollen with power that they have forgotten their roots, exposed corruption and the waste of your hard-earned tax rupees, and made sure that whatever the propaganda of the day, you were allowed to hear a contrary view. For this I – and my family – have now paid the price that I have long known I will one day have to pay. I am – and have always been – ready for that. I have done nothing to prevent this outcome: no security, no precautions. I want my murderer to know that I am not a coward like he is, hiding behind human shields while condemning thousands of innocents to death. What am I among so many? It has long been written that my life would be taken, and by whom. All that remains to be written is when.

That The Sunday Leader will continue fighting the good fight, too, is written. For I did not fight this fight alone. Many more of us have to be – and will be – killed before The Leader is laid to rest. I hope my assassination will be seen not as a defeat of freedom but an inspiration for those who survive to step up their efforts. Indeed, I hope that it will help galvanise forces that will usher in a new era of human liberty in our beloved motherland. I also hope it will open the eyes of your President to the fact that however many are slaughtered in the name of patriotism, the human spirit will endure and flourish. Not all the Rajapakses combined can kill that.

People often ask me why I take such risks and tell me it is a matter of time before I am bumped off. Of course I know that: it is inevitable. But if we do not speak out now, there will be no one left to speak for those who cannot, whether they be ethnic minorities, the disadvantaged or the persecuted. An example that has inspired me throughout my career in journalism has been that of the German theologian, Martin Niem”ller. In his youth he was an anti-Semite and an admirer of  Hitler. As Nazism took hold in Germany, however, he saw Nazism for what it was: it was not just the Jews Hitler sought to extirpate, it was just about anyone with an alternate point of view. Niem”ller spoke out, and for his trouble was incarcerated in the Sachsenhausen and Dachau concentration camps from 1937 to 1945, and very nearly executed. While incarcerated, Niem”ller wrote a poem that, from the first time I read it in my teenage years, stuck hauntingly in my mind:

First they came for the Jews

and I did not speak out because I was not a Jew.

Then they came for the Communists

and I did not speak out because I was not a Communist.

Then they came for the trade unionists

and I did not speak out because I was not a trade unionist.

Then they came for me

and there was no one left to speak out for me.

If you remember nothing else, remember this: The Leader is there for you, be you Sinhalese, Tamil, Muslim, low-caste, homosexual, dissident or disabled. Its staff will fight on, unbowed and unafraid, with the courage to which you have become accustomed. Do not take that commitment for granted.  Let there be no doubt that whatever sacrifices we journalists make, they are not made for our own glory or enrichment: they are made for you. Whether you deserve their sacrifice is another matter. As for me, God knows I tried.

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Via Metilparaben
Via BBC News
Via The Sunday Leader

Lo scientifico tentativo di impedire la formazione della pubblica opinione, consapevole in quanto informata

[…] Il disegno di legge sulle intercettazioni presentato ieri dal governo, infatti, non impedisce solo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, con pene fino a 3 anni (e sospensione dalla professione) per il cronista autore dell’articolo e fino a 400 mila euro per l’editore. Le nuove norme vietano all’articolo 2 la pubblicazione “anche parziale o per riassunto” degli atti delle indagini preliminari “anche se non sussiste più il segreto”, fino all’inizio del dibattimento.

Questo significa il silenzio su qualsiasi notizia di inchiesta giudiziaria, arresto, interrogatorio, dichiarazione di parte offesa, argomenti delle difese, conclusioni delle indagini preliminari, richiesta di rinvio a giudizio. Tutto l’iter investigativo e istruttorio che precede l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare è ora coperto dal silenzio, anche se è un iter che nella lentezza giudiziaria italiana può durare quattro-sei anni, in qualche caso dieci. In questo spazio muto e segreto, c’è ora l’obbligo (articolo 12) di “informare l’autorità ecclesiastica” quando l’indagato è un religioso cattolico, mentre se è un Vescovo si informerà direttamente il Cardinale Segretario di Stato del Vaticano, con un inedito privilegio per il Capo del governo di uno Stato straniero, e per i cittadini-sacerdoti, più cittadini degli altri.

Se il diritto di cronaca è mutilato, il diritto del cittadino a sapere e a conoscere è fortemente limitato. Con questa norma, non avremmo saputo niente dello spionaggio Telecom, del sequestro di Abu Omar, della scalata all’Antonveneta, della scalata Unipol alla Bnl, del default Parmalat, della vicenda Moggi, della subalternità di Saccà a Berlusconi, dei “pizzini” di Provenzano, della disinformazione organizzata da Pollari e Pompa, e infine degli orrori della clinica Santa Rita di Milano. Ma non c’è solo l’ossessione privata di Berlusconi contro i magistrati e i giornalisti (alcuni).

C’è anche il tentativo scientifico di impedire la formazione di quel soggetto cruciale di ogni moderna democrazia che è la pubblica opinione, un’opinione consapevole proprio in quanto informata, e influente perché organizzata come attore cosciente della moderna agorà. No alla pubblica opinione (che non sappia, che non conosca) a favore di opinioni private, meglio se disorientate e spaventate, chiuse in orizzonti biografici e in paure separate, convinte che non esista più un’azione pubblica efficace, una risposta collettiva a problemi individuali. […]

Povera, povera Italia.
Temevo (anzi, ero certo) che in breve tempo saremmo ricaduti nel tunnel.

Update: a riguardo, ho trovato anche questo video, con il commento di Marco Travaglio…