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L’inizio della settimana

Ok, per me è già finito il primo giorno lavorativo della settimana. Così, fortunatamente, domani non avrò la crisi del lunedì, come succede alla maggior parte di voi. E, ancora più fortunatamente, di solito la domenica è un giorno tranquillo, quindi non è neanche troppo doloroso tornare in quell’ufficio.

Beh, questo di solito. Non oggi. Non oggi, tra persone in ferie, colleghi malati e uno “speciale estate” da preparare assolutamente il prima possibile, per non ritrovarci all’ultimo momento a strapparci i capelli.

Risultato? Io ho seguito lo speciale estate. E non ho avuto un secondo libero. E’ già tanto se sono riuscito ad alzarmi dalla sedia. Finchè, verso le 22.30 la mia collega/responsabile annuncia “Ciao io vado, ho controllato tutto, c’è solo da finire le prime”. Quella collega/responsabile che non più di una settimana mi ha addossato la colpa di un errore dinanzi al grande capo.

E quindi? Niente. Io ho continuato con il mio speciale (e il più, fortunatamente, è fatto), lo stagista ha finito le prime, le abbiamo inviate e mentre attendevamo la conferma da parte della tipografia (a cui avevano comunicato un numero di pagine errato) abbiamo finito un’altra pagina dello speciale. Così siamo usciti da lavoro alle 23.30, assieme ai giornalisti (è un fatto rarissimo, visto che loro iniziano prima di noi grafici e finiscono – ovviamente – prima).

Lei, bella bella, su una poltrona del Bicocca Village a godersi Batman. Io, stanco, in macchina mentre affrontavo l’autostrada con occhi un po’ troppo pesanti.

No comment.

Fame e colleghi

A volte mi chiedo perchè il baretto sotto l’ufficio, nell’ora dell’aperitivo, non pensa di offrire ai propri clienti (ovvero.. tutto l’ufficio) qualche schifezzina da mangiare: pizzettine, bruschette o anche solo patatine. In nostro baretto offre solo, a giorni alterni, qualche brioches.

Così abbiamo trovato il “nuovo” baretto: stuzzichini a non finire.

Però, ovviamente, non si può uscire in massa e conviene andare divisi, in modo da non lasciar mai completamente sguarnito nessuna funzione della catena di lavoro.

E così, ultimamente, andavo sempre assieme a un giornalista e a uno stagista, al “solito” baretto, rifacendomi sulle brioches. Oggi, però, avevo fame. E delle brioches non mi sarebbero bastate. Oggi, per me, sarebbe stato molto meglio spizzicare e mangiare diverse schifezzine.

C’era così bisogno di fare un “cambio di gruppo”, per poter entrare a far parte della fazione del “nuovo” baretto. Ma (perchè mi stupisco?) nessuno si è proposto di fare cambio con me, pur considerando la mia “necessità” di mangiare, e molto.

Così.. o me ne andavo da solo.. oppure andavo con gli altri al “solito” baretto. E ho optato per la compagnia. E ho perso il cibo, visto che oggi – sfiga vuole – che non c’era neanche una brioches. Cioè, una c’era. Era grande come un terzo di una brioches che uno definirebbe piccola. Era assolutamente minuscola. E costava la stessa cifra.

E così, son qui che muoio di fame. Potevo ordinarmi una pizza, dai kebhabbari qua sotto, ma ho preferito evitare l’olio di motore che utilizzano di solito per condirla. Oppure potevo prendere, farmi 15 minuti a piedi, e arrivare nella pizzeria al trancio buonissima, che però nessuno dei colleghi apprezza. E che non consegna a domicilio sotto una certa cifra, ovviamente.

E così, son qui che muoio di fame.

E sì, è vero, questi non son problemi gravi.

Però a me questi comportamenti, questo menefreghismo, questa non volontà di venire (per una cazzata) incontro agli altri, genera molto – troppo – fastidio.

(Brutti) giorni di lavoro condensati in un unico post

Come dicevo qualche post fa, ormai certe cose che succedono a lavoro non mi danno più così tanto fastidio, ultimamente. Però mi è venuta voglia di scriverle. Non so perchè.. sicuramente non per sfogarmi, come prima. Forse come promemoria, per ricordarmi di come si comportano certe persone e non far cadere nel dimenticatoio certi fatti.

Fatto sta che nei giorni scorsi c’è stata una “transizione” di un cliente. Era cambiato il sistema di “chiusura” dei file, che prima in realtà venivano lasciati aperti. Poi, di punto in bianco, quando già avevamo lavorato il tutto al solito modo, veniamo avvisati che in realtà deve essere chiuso e mandato in tipografia in pdf.

Già.. in pdf. Come se il pdf non ha miliardi di impostazioni. Come se esiste una sola tipografia al mondo. E, dovendo chiudere il file praticamente abbiamo dovuto rifare tutto, visto che prima la lavorazione delle immagini era un puro segnaposto, visto che poi ci pensavano altri a concludere il tutto. Il capo, quando chiedo dettagli sulle impostazioni per il pdf cade dalle nuvole. Mi passa il numero di questo nuovo responsabile. Provo a chiamarlo. Ovviamente era irraggiungibile. Quando finalmente riesco a contattarlo.. mi risponde decisamente male, con un “Io ho pagato per 8 pagine chiuse, tutto il resto son cavoli vostri”. No comment.

Chiudiamo questi cavolo di pdf in qualche modo, possibilmente alla più alta qualità possibile (che vi si intasi l’ftp!). Peccato che era impossibile fargli intasare l’ftp.. visto che non ci avevano dato l’indirizzo. E questo simpaticissimo tizio era ormai irraggiungibile, visto che non rispondeva più all’unico recapito che avevamo. No comment, again.

La mattina un’altra collega riesce ad inviare il tutto. E, ovviamente, non andava bene. Chiamano, arrabbiati neri, perchè loro-dovevano-andare-in-prestampa-e-noi-stavamo-bloccando-tutto. Mancavano le marcature, i crocini (queste cose, dirle, no?) ed erano sbagliate le dimensioni di pagina. Ebbene sì. Le avevano cambiate, senza dirci nulla. La collega sistema tutto al volo. Poi segue lei la cosa per aggiornare le varie mastro con le nuove dimensioni, i nuovi font, il nuovo stile. Poi la collega va in ferie.

E questo lunedì inviamo le nuove pagine. Le inviamo lunedì pomeriggio, tranquilli che tanto le mastro erano state aggiornate. E invece.. ci chiamano martedì pomeriggio, mentre io ero al bar. Arrabbiati neri, perchè era di nuovo tutto sbagliato. Parlo di nuovo col simpaticone, che si arrabbia perchè gli ho chiesto cosa non andava visto che (secondo lui) dovrei saperlo. Ma visto che lui non ha parlato con me e visto che la cosa non l’ho seguita io, forse era il caso di dire gli errori così potevo sistemarli in fretta, visto che poi loro-dovevano-andare-in-prestampa-e-noi-stavamo-bloccando-tutto, again. E lui, maleducatissimo, come al solito. E quindi a sistemare tutto al volo, in un’agitazione tremenda, con la paura – per la fretta – di fare qualche altro errore. Ansia. Poi, finalmente, spedito tutto. Momenti di panico, ogni vlta che squillava il telefono, temendo fosse lui, di nuovo, arrabbiato. E invece, fortunatamente, era tutto a posto. Avevo sistemato nel giro pochi minuti quel che la mia collega avrebbe potuto fare, con calma, in una settimana.

E poi, ieri. Problema con una pubblicità, uscita male (malissimo) in stampa. Un po’ di indagini.. e si scopre che è un bug di xPress. O meglio, xPress che non digerisce certi pdf, ma se ne frega, non da’ messaggi di errore e l’unico modo per accorgersi dell’errore è con i controlli, visivi, che si fanno a fine serata, dopo una lunga giornata. Controllare pagine di box pubblicitari che non assembliamo noi, che non sappiamo come dovrebbero essere nè le “criticità” da controllare. Comunque, si era instaurato un dialogo tranquillo e sereno, volto alla risoluzione del problema, sia col responsabile del progetto, sia col signore che ci passa le pubblicità, sia poi col capo, in una riunione che non finiva mai. Un’ora e passa in quell’ufficio, a gelare, vista l’aria condizionata puntata sulla temperatura polo Nord.

Tutto tranquillo, si vagliano le soluzioni, si parla, si decide cosa fare, si muovono un po’ di battute e frecciate, finchè la collega non se ne esce fuori con un “beh, ma chi doveva fare i controlli finali per quelle pagine?”, guardando verso di me. E lì, sinceramente, non ho avuto parole. Perchè sì.. il controllo finale di quelle pagine l’ho fatto io. Peccato però che quelle pagine vengono controllate sia quando si fanno (e le ha fatte un’altro collega se non sbaglio), sia al momento della spedizione (ed è lei che le controlla e le spedisce), sia il controllo finale (che di solito, per quell’intervallo di pagine, faccio io). Però, insomma. Una cosa così, col capo, non si dice, nè si fa. Perchè non si stava parlando di un “mio” sbaglio, di chi era la colpa. Si stava parlando in generale. Siamo un gruppo e si lavora in gruppo. Ho sempre pensato che lo sbaglio di uno fosse lo sbaglio del gruppo. Ma se è così che deve funzionare.. beh, allora qualche sassolino dalla scarpa me lo voglio togliere. Perchè, insomma, vogliamo parlare di quando, qualche giorno fa, è andata su due pagine affiancate, la stessa pubblicità? E lì, in quel caso, chi doveva il controllo finale? Chi le aveva lavorate quelle pagine? E mi sembra che, in quel caso, non si è andati dal capo a parlarne. E io, non ho lanciato frecciatine e battutine, io, in quel caso, non ho detto nulla a nessuno. E io, non ho sottolineato il fatto che quell’errore non fosse mio, ma suo. Perchè, anche io, un po’, mi sentivo in colpa, per non aver controllato anche io, di nuovo, quelle pagine che già lei avrebbe dovuto controllare e che non erano mio “compito”.

Ma a quanto pare, sbaglio sempre come comportarmi.

Sbaglio a dare fiducia a certi colleghi.

E forse, io, dovrei pensare a ripagare qualcuno, con la stessa moneta.

E da questo momento, mi spiace, noi non siamo più un team.

Io sono io e rispondo solo dei miei errori.

Cose non dette

In realtà, nel post precedente, volevo parlare d’altro. Ma poi mi son perso, come mio solito. E alla fine mi sono ritrovato, prima, leggendo sul Reader un post di Xlthlx che ora esiste sono nella cache di Google..

In ogni caso..

fanno di tutto per farlo: contratti a termine, precari, al limite della legalità, stipendi da fame, disorganizzazione cronica, mezzi limitati o assenti, ambiente di lavoro al limite del mobbing, familismo amorale, raccomandazioni, prese per i fondelli limitate o globali, sfiducia parziale o totale, ritmi di lavoro stressanti, ritmi di lavoro inesistenti, totale autonomia che in realtà ètotale indifferenza, responsabilita’ inesistenti, responsabilità riversate sul lavoratore per lavarsene le mani, controllo delle azioni sul lavoro ma totale indifferenza al risultato del lavoro stesso, tante piccole/medie/grandi aziende che alla fine sono in mano a padri/padroni che credono di poter decidere della vita e della morte dei loro dipendenti.

Sì. Alcune di queste cose le ho vissute/le sto vivendo sulle mie spalle, invischiato come sono nel mondo della produzione di massa dell’info(rmazione)grafica. E son queste alcune delle cose a cui ho imparato a disinteressarmi. Non so se sia un bene o un male, ma ora, queste cose, non mi fanno più così tanto male come prima.

Dalla lunga e articolata riflessione di Xlthlx si arriva a questa conclusione:

quello che quindi ne dovresti dedurre e’ per forza di cose: fai il minimo indispensabile, non curati del lavoro perche’ non ne vale la pena, puoi solo ricavarne grosse delusioni.

Già. Purtroppo. Già capitato. Progetti in cui mi sono buttato a capofitto con entusiasmo, per poi ricavarne cosa? Nulla. A parte, ovviamente, falsità, bugie, straordinari non pagati e promesse non mantenute.

care piccole/medie/grandi aziende italiane, vorrei dirvi due paroline.
saro’ molto poco italiana in questo, ma se non faccio qualcosa con vivo interesse preferisco non farla proprio.
e se mi mettete in condizione di lavorare male, di non essere giudicata per il lavoro che faccio ma per mille altre stronzate del cazzo che vi passano per quel cervellino bacato, se pensate di potermi fottere con contratti di merda o orari disumani, se credete davvero di potermi manipolare in un qualsiasi modo, ricordatevi sempre di una cosa: non mi toglierete mai la mia passione.
il che vuol dire che non mi controllerete, non faro’ quello che volete, vi troverete sempre davanti un muro.
e prima o poi me ne andro’ sbattendo la porta, non prima di avervelo messo almeno un po’ in culo.

Cronache di un open space

Giornata di cambiamenti a lavoro.
Appena arrivati, ci siamo accorti che i computer si erano moltiplicati. Sono comparsi 8 nuovi iMac bianchi, una nuova stampante, qualche telefono e sedia in più. Il gossip d’ufficio fa sapere che si trasferirà qui da noi la redazione di un giornale che in parte gestiamo. E già ci stiamo preoccupando per queste 8 persone in più che parleranno, risponderanno al telefono, respireranno. L’open space potrebbe diventare invibile.
Così abbiamo di goderci il nostro ufficio per l’ultima volta, oggi che eravamo veramente in pochi. Oggi che sembrava che i telefononi, i giorlasti e il mondo fosse in scoperto. Se non fosse stato per il mitico mago hi-tech dell’azienda che ha chiamato miliardi di volte per fare delle prove con il centralino. E passami l’interno tal dei tali e mettimi in attesa e mannaggia la musichetta non funziona aspetta che ti richiamo subito.
A fine giornata ho ripulito il mio adorato Power Mac G5 (ultima revisione :D), visto che da domani non sarà più mio: se ne imposseserà un altro stagista. E ho preferito ripulirlo un po’, togliete tutte le personalizzioni che avevo messo.
Finirò su un’altra scrivania, lontano dai colleghi del mio gruppo di lavoro, il che complicherà un po’ il coordinamento delle attività. Però avrò davanti ad un iMac nuovo. Ci guadegnerò in potenza, ma quei computer non sono fatti per fare grafica. Lo schermo lucido, tra luci al neon e finestre, fa troppi riflessi ed è troppo – troppo – contrastato. Ma vallo a spiegare ai grandi capi. Gli stessi capi che hanno pure comprato un’altro iMac nuovo per un giornalista. Quando ci sono altri grafici che hanno anche un G5 singolo processore che va a manovella.
E oggi abbiamo salutato il “nostro” giornalista. Che da domani non ci farà più parte del gruppo, seguendo altri progetti. Sì, ok, sarà a 4-5 metri da noi. Ma non sarà più la stessa cosa. Le pause, gli scambi di sguardi, le imprecazioni quando xPress si chiudeva inaspettamente (mentre non rispondeva). Sigh sob.
E oggi ha fatto un regalo a tutti. Uno di quei blocchetini per appunti, un ArtMeno. Con disegno personalizzato, ovviamente. A me l’ha preso con l’uomo vitruviano di Leonardo. Dopo la mia filippica contro il banalissimo logo dell’Expo 2015. Non so perchè, ma da quella mia filippica sono diventato colui che critica i loghi. Come se non ci fosse nulla che non mi piace. Non è mica vero!
E la serata è finita con un po’ di sano gossip da ufficio. Ci saranno altri cambiamenti in quell’open space. E molti stanno affilando i coltelli, visto che questi cambiamenti non sono affatto graditi. Sarà, ma in quell’open space l’aria si fa sempre più pesante.

Autoconsiderazioni

Ed eccomi qui come al solito davanti al computer, ad un’ora piuttosto tarda, a scrivere qualcosa. Con Madonna in sottofondo e un’occhio all’altra finestra, col Twitterworld che parla. E, dicevo, son qui a scrivere qualcosa.
Cosa non lo so, anche perchè mi rendo conto che non so scrivere. Non riesco ad essere così profondo come vorrei essere. Non riesco ad essere come altri. Che mi fanno provare grandi sensazioni quando leggo i loro post, sia che li conosca realmente che solo tramite questo mondo in versione 2.0.
Eppure son qui, tra questi byte, col mio blog. Che ultimamente sta diventando un po’ troppo noioso e che non aggiorno più molto spesso.
Forse perchè non so più di cosa parlare.
Forse perchè non riesco a parlare più di me.
Forse perchè non c’è nulla di cui parlare.
Ho deciso di non affidare al finto anonimato del web certe questioni importanti. Perchè è meglio parlarne di persona con il/la diretta interessato/a.
Visto che è l’unico modo per risolvere i problemi.
Sto tentando di essere meno polemico. E questo porta via molta materia prima al mio blog.

E le cose, alla fine, vanno bene. Con la family, a lavoro, con Love.

Certo, tra poco si avvicinerà il momento della scelta che incombe: decidere cosa fare a settembre.
Continuare a lavorare, studiare/lavorare o studiare e basta.
Perchè il lavoro, anche se non è esattamente quello che vorrei, mi piace ed è tutto sommato dignitoso, anche a livello economico.
Perchè di riprendere a studiare, ho paura. Di dovermi scontrare con lo spettro delle mie capacità. Il dover dimostrare di essere bravo in quello che voglio studiare. Perchè, prima, era facile. Mal che andava, potevo dire che non era quello che mi piaceva e mi pesava. E ritorna lo spettro dei ponti sotto cui vivere e il dare ragione a qualcuno.
Perchè abbandonare un lavoro bello e dignitoso, in questo periodo di presunta crisi e pessimismo non mi rende affatto sicuro e tranquillo. Se e quando avrò finito gli studi riuscirò a trovare lavoro? O a 30 anni farò ancora parte del precariato perenne?
E perchè devo scegliere. Arte&Messaggio. O Polimi con Design della Comunicazione. Da una parte una scuola che mi attira tantissimo, di soli due anni, che volendo si potrebbe coniugare con il lavoro, se riuscissi a trovare un monolocale/stanzino a Milano. Dall’altra parte la favoletta del pezzo di carta di una Laurea. Ma l’idea di dover affrontare, di nuovo, l’incubo università. Con lezioni, prove, esami.
Il tutto in attesa che a lavoro mi dicano qualcosa. Perchè non solo c’è il lavoro, ma c’è pure il rischio che mi propongano un contratto a tempo indeterminato.

Con la family, le cose vanno bene.
Sarò io quello più tranquillo e sereno. O forse sono gli orari che mi fanno vedere e comunicare con la family il minimo indispensabile. E così le cose vanno bene.
Però c’è un passo importante da fare.
Una cosa importante da comunicare.
E come tutte le cose importanti, è diffile.
Ma conoscendoli, ho bisogno di una mia ancora di salvezza.
E per questo ho sempre voluto essere indipendente il prima possibile. Proprio perchè ho paura di conoscerli.
E il lavoro e la forse quasi assunzione sono un passo molto importante verso l’essere indipendente.
Giusto per aumentare i miei mille dubbi.

E poi c’è Love.
O forse Love è prima di tutto.
Ma provo invidia nei suoi confronti.
Perchè ha potuto fare quel che ha voluto.
Per l’importanza che ha la sua famiglia.
Per i recenti sviluppi con la sua Mam.
Anche se c’è un minimo di paura latente.
Perchè sogno ad occhi aperto un lungo futuro per il nostro amore.
E paura che questa sostanziale differenza tra le nostre situazioni possa diventare, nel lungo periodo, un peso, un ostacolo.
Ma ho anche paura di affrontare la cosa.
E dover così scoprire se l’ancora di salvezza era veramente necessaria oppure no.

La calma

Giornata di cambiamenti @ work.
Dopo poco più di due settimane di lavoro, qualche complimento da parte dei capi che sembrano soddisfatti di me (oppure sono bravissimi a fingere), non ho più un responsabile e sarò responsabile di me stesso. Soprattutto quando (speriamo non succeda mai) mancherà la mia collega, per varie ed eventuali.
Il che è abbastanza una tragedia. Perchè se prima il lavoro in 3 era abbastanza tranquillo, in 2 lo è un po’ meno. Soprattutto se ne succedono di tutti i colori come oggi. Riunioni con i capi, pagine mastro da modificare, pubblicità che mancano (e lo si scopre all’ultimo), pubblicità che arrivano in formati sbagliati dal preventivato (ovviamente più piccoli).
I piccoli problemi con le pubblicità ci hanno obbligato a cambiare l’impostazione grafica di due pagine (che erano persino condivise tra i vari giornarli, e ognuna aveva bisogno di uno spazio pubblicitario di dimensioni diverse!). E hanno costretto i giornalisti a trovare altre notizie da aggiungere per altre 2 pagine.
Poi lo script per aggiornare le tivvù non andava su un computer. E quando finalmente erano pronte le 3 pagine delle tivvù (pesantissime da modificare e quindi lunga anche la creazione di eps e pdf).. ta dan! Era saltata un’immagine. Che però Quark mostrava. E nel pdf non c’era. E altro tempo perso. Per cosa poi? Per colpa di un’accentata nel nome del file.
Io odio Quark!
E, beffa finale, non riuscivamo a contattare la tipografia per avere la conferma della ricezione dei file. Rimbalzi di numero in numero, gente che non sapeva neanche cosa stampavano e che ci dicevano che avevamo sbagliato numero, dandoci quello di un’altra società :S
E poi, all’alba delle 00:10 finalmente abbiamo chiuso alle nostre spalle il portone della redazione. Uno strappo a casa alla collega e poi dritto in autostrada verso casuccia cara. Col contachilometri fisso sui 90km/h. Perchè a volte è bello vivere la vita con calma. Anche solo quella mezz’oretta notturna di viaggio verso la propria tana.

Odissea di un lungo viaggio verso casa

Giornataccia. Non tanto per il lavoro in sè, ma perchè è da metà pomeriggio che mi ha fatto compagnia un mal di testa tremendo. E l’insonnia notturna è tornata a farmi compagnia. Sgrunt.
Per non parlare dell’odissea per tornare a casa. Perchè, nonostante il papi mi avesse informato della partita (ed effettivamente un mio collega si è fermato in redazione proprio per finire di impaginare la pagina sulla partita), una volta salito in macchina, ho attivato il pilota automatico. Che mi ha portato dritto dritto sulla circonvallazione e poi in piazzale Lotto. Un delirio, tremendo. Mi chiedo per quale motivo quando ci sono più di 3-4 persone insieme, il loro cervello sparisca e diventi persino inferiore a quello di una formica – non me ne vogliano i cari insettini.
Semaforo. Rosso per i pedoni. Verde per le macchine. 3-4 vigili per semaforo che continuavano ad urlare alla folla di NON attraversare. E continuavano ad attraversare, come se nulla fosse. E intanto, da dietro, altri poveri automobilisti che condividevano con me l’infelice destino di essere in piazzale lotto, iniziavano a suonare, perchè effettivamente era verde. La situazione è migliorata quando il collega automobilista al mio fianco ha accennato un’improvvisa accelerata che lasciava presupporre che ci saremmo trasferiti presto nel mondo digitale di Carmageddon. E così i pedoni si sono fermati. E siamo potuti finalmente passare. 10 metri. E di nuovo lo stesso discorso.
Poi di nuovo traffico bloccato su piazzale Kennedy. E qui entra in gioco la logica delle 5 corsie: spostarsi di corsia in corsia inseguendo il miraggio di essere in quella più scorrevole. Per poi accorgersi, all’ultimo, di essere dalla parte opposta a dove si dovrebbe essere. Tentando quindi di riposizionarsi nella corsia giusta, bloccato tutto e tutti. E il bello è quando a farlo è un camion con rimorchio..
E giusto per finire in bellezza l’avventura verso casa, cosa dire del “tratto di autostrada Marcallo mesero – Novare Est” chiuso per lavori? Anche se, arrivato al casello di Arluno non hanno forzato l’uscita. Ma ho preferito uscire lo stesso, perchè, con la fortuna di oggi, mi sarei beccato pure il casello chiuso. E mi avrebbe costretto a 24km in più di viaggio.

Ma ora, ncora qualche minuto perchè finisca il programma di Gatto Nero su RadioNation1 e andrò alla conquista delle coperte..

Rettifica di un post precedente

Nonostante quanto scritto nel post precedente.. questo lavoro mi piace un sacco!
Giovedì ho persino corretto tutte le pagine mastro che non avevano alcuni file correttamente collegati quindi puntualmente in fase di esportazione davano sempre noiosissimi problemi. E ora funzionano, con somma gioia mia e dei miei 2 colleghi. Che potevano pure pensarci loro, ma non avevano mai voglia di farlo 😛
Mi son creato pure un automatismo per rinominare il automatico le mastro a inizio giornata e copiarle nella cartelletta giusta.
E giovedì è stato il giorno del mio “primo” scontorno. Non che non li avessi mai fatti, sia chiaro. Ma è stato il mio primo scontorno ufficiale sul giornale, letto da centinaia e centinaia di lettori ignoranti e deficienti (queste le parole del Grande Capo Editore. No comment please).
E questo, per ora è tutto.
Perchè son contento. Perchè mi piace. Perchè mi trovo bene con quella banda di pazzi e pazze che ho come colleghi. Per quanto non siano così tanto geek e design addicted come me. E non sanno nemmeno cosa sono i Rabbids. O cosa sia Tokidoki. Ma l’opera di evangelizzazione inizierà presto. Ed intanto ho già messo Bunnies Creed come sfondo del mio desktop. Eheheh