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Nostalgia

Ok. E’ questa è stata l’ultima del 2008. E non ho voglia di altre nel prossimo anno.

Sono stutfo, stufo, stufo.

Stufo delle vostre belle parole. Ve le ricordate? Quelle vostre belle parole dette quel giorno, in montagna, immersi nel verde, nel silenzio, sotto quel fienile mezzo diroccato, con uno spelindino sole che giocava a nascondino tra le nuvole?
Beh. Ora come ora le definirei delle belle false parole.

Ancora una volta sempre i soliti discorsi. E non ce la faccio più. Perché io l’ho detto. L’ho detto cos’è che non mi era andato bene. Ho detto quello che mi aveva fatto stare male, male, male, MALE.

Eppure ho l’impressione che non mi avete ascoltato. O ve ne siete fregati, perché il vostro orgoglio è più forte di ogni altra cosa.

E anche oggi. Detto, ridetto. E a distanza di 2 minuti, dite che non avete capito, cosa vi chiedo. Che non avete capito cosa mi ha bloccato, ancora di più.

Perché sembra che non lo abbiate capito. Nell’idea di proteggermi e proteggervi, mi sono chiuso in me stesso. Per anni e anni. E, insomma, aprirsi è veramente difficile. E anche questo, l’ho detto e ridetto e non lo avete ancora capito.

E’ successo il patatrac. Ci sono state le belle parole, le crisi, i pianti, le gite della bella famigliola contenta. Io ho tentato di fare dei passi, con tutta la difficoltà del caso. Tutta la difficoltà di affrontare la situazione. Voi dite di non averne visti. E continuate a chiedere passi, passi, passi e ancora passi.

Ma voi, ne fate?

Ho sopportato le vostre tremende parole nei miei confronti, nei confronti di chi amo, nei confronti di chi apprezzo e rispetto.

Ma non posso sopportare le parole del fattaccio. Quelle no, non le posso accettare.

Ed è da quelle parole che è derivata l’ennesima chiusura.

Però no, io mi fisso, guardo al passato e non voglio guardare avanti.

Ma come guardare al futuro e sperare in qualcosa di meglio con una famiglia che mi dice che non accetta quello che sono e non mi accetterà mai? Come faccio a guardare al futuro e sperare in qualcosa di meglio con una famiglia che non reagisce, una volta detto che queste parole mi hanno fatto stare male, male, malissimo e che mi sarei almeno aspettato qualche frase diu circostanza, del tipo non lo pensavamo veramente/ero arrabbiata/scusami, mi dispiace?

E vi ringrazio, per il bellissimo modo in cui mi state facendo passare le ultime ore di questo 2008.

E ora, vado a cancellare il post programmato per la mezzanotte. Che no, non sono più allegro felice contento e spensierato.

E se mi dovesse succedere qualcosa, non vi preoccupate. Lo scoprirete da qualche telegiornale, come tutte quelle povere famiglie con dei figli disgraziati, che se ne vanno in giro la sera, fumano, bevono, si drogano e si incidentano.

Week-end

E così anche questa settimana è volta al termine.

Una settimana divisa tra gli alti delle giornate universitarie e i bassi dei (piccoli) casini a lavoro.

Una settimana che si è conclusa decisamente bene: non solo per la lezione di disegno di oggi, che mi è piaciuta veramente tanto, quanto perchè, finalmente, ho rivisto due carissimi amici, dopo un sacco di tempo.

Una serata tranquilla, casalinga. Però è bello rivedere le loro amichevoli faccie dopo un po’, considerando che l’ultima volta che li avevo visti era il giorno della bufera, ad agosto.

Però, oggi, ho anche riflettuto e rimuginato.

Mi pesa il non potersi vedere sempre, mi pesano le molte rinunce che devo e dovrò fare. Mi pesa ancora la situazione e non sono per nulla soddisfatti di certi aspetti del mio carattere, a volte così scostante.

Però domani è un altro giorno. Ho un paio di “compiti a casa” da fare e mi aspetta una cena veramente importante, pur con l’ostacolo delle probabilissime litigate per andarci.

Ma è troppo importante. Per me, per lui, per il suo clan. E devo assolutamente andarci. Costi quel che costi.

Alla fine, niente Monaco

Mi hanno svegliato presto, dicendomi qualcosa che non ho capito o che non ricordo, come sempre mi succede durante le fasi di dormiveglia. Così loro sono andati a Mantova e io sono rimasto a casa, a dormire fin quasi a mezzogiorno. Poi, da Love, per pranzo e per un’infusione delle sue conoscenze di storia dell’arte e architettura per riuscire a passare il test. Poi il ritorno a casa. Nessuna litigata, la madre con gli occhi luccicanti mentre descriveva le meraviglie di Mantova che non aveva mai visto.

E domani, chissà…

Riprese (sviluppi diversi)

E intanto, uscito dall’ufficio, sono rimasto a parlare un po’ con miei pochi ma buoni colleghi preferiti. E una cosa (di quanto scritto qua sopra) tira l’altra. Ci siamo confrontati ed è rassicurante perchè vuol dire che non sono io il matto che non capisce, che interpreta male le cose.

E però una cosa ha tirato l’altra. Ed è passato, volando, tanto tempo, troppo tempo. E non ho più potuto fare un saltino da te, vista l’ora ormai tarda. E mi spiace. Prima, la promessa via Gtalk, poi i controlli da finire (con i colleghi già spariti), poi l’escooradall’ufficio, la chiaccherata con i colleghi e poi l’ultima chiamata.

Salito in macchina ho provato a chiamarti, ma il Motorola era spento. Altri mille dubbi che mi sono venuti, assieme a tutti gli altri che già frullavano in testa. La possibilità di un’arrabbiatura da una parte, la possibilità che tu fossi già tra le braccia di Morfeo dall’altra, la speranza che si era solo scaricato il telefono e di poterti trovare online, più tardi.

E invece, purtroppo, no.

E io, come al solito, quando non so, sto male.

Sotto la doccia (pensieri)

Ci stavo pensando questa mattina, sotto la doccia.

Tutte le volte che “on-the-net” ho cambiato la mia identità virtuale. Passando da un blog ad un’altro. Cambiando.

Perchè a volte cambiavano le situazioni esterne, a volte quelle interiori.

Stavo rileggendo i vecchi archivi, che sono solo in locale sul mio (vecchio) iBook. Archivi di anni fa. E quanto ero diverso. Solo, nascosto, insicuro, con la necessità di avere uno spazio mio e solo mio (e chissenefrega se non mi legge nessuno).

Poi qualche casino, una migrazione, un cambiamento. Di come vivevo i miei sfoghi online, di quel che doveva essere il mio blog. Che, però, è diventato sempre più stretto, indissolubilmente legato alla mia identità.

E così, un’altro cambiamento. Uno sdoppiamento, per la verità. Tentando di separare la mia vita personale dal lavoro, dalla mia passione. Senza però, diciamocelo, riuscirci bene. Senza riuscire a delineare (e alla fine è pure logico) confini netti.

E così, di nuovo, un cambiamento, recente. Su queste pagine, mescolando di nuovo tutto, facendo casini con le categorie e i tag, con un theme ancora a metà, che probabilmente rimarrà abbandonato a se stesso come succede con molti dei miei (faraonici) progetti.

Ma stavo pensando. Stavo notando come è cambiato non solo lo stile in cui scrivo, ma anche gli argomenti stessi. Forse, un po’, come persona e come blogger, sono cresciuto.

Mi rendo conto che sono mesi che non scrivo più lunghi post lamentosi di quello o di quell’altro, per il lavoro, per gli “amici” o altro.

Forse sto guardando la mia vita con occhi diversi, occhi più comprensivi. O forse no. Forse è solo una mia impressione, perchè ci sono sempre cose, comportamenti, atteggiamenti che non sopporto. Ma forse non mi fanno così male, non mi danno così fastidio come prima. Forse sto diventando insensibile. O forse sto solo imparando, poco alla volta, a dare a ogni cosa il suo giusto peso.

Sicuramente è anche grazie alla serenità interiore che sento sempre più crescere dentro me stesso. E per questo posso solo ringraziare chi mi è accanto. Chi mi ama, chi mi vuole bene come amico, chi mi apprezza come persona, chi trova piacevole perdere tempo con me online.

Sinceramente, mi sento sempre più forte. E in virtù di questa nuova forza voglio riuscire a mettere ordine nella mia vita, far chiarezza su alcuni punti, sistemare alcune (importanti) questioni lasciate in sospeso.

E, come al solito, mi son perso per strada, iniziando a parlare (scrivere) senza un filo logico. Di cos’è che volevo parlare in questo post?

Voglia

Voglia.

Tanta voglia.

Di coccole.

Di abbracciarti.

Di essere abbracciato.

Anche solo per un istante.

Ma, questa volta, sei tu che lavori.

E (forse) non riusciremo a vederci più tardi.

E mi spiace.

Perchè se alla fine ho sempre voglia di te, oggi sentivo di averne particolarmente bisogno.

Ma, comunque, non è un problema. E non è giusto creare un problema, nè voglio crearlo.

Perchè non avrebbe senso. Visto che di solito è per colpa mia, visto che di solito è colpa del mio lavoro e dei miei orari assurdi.E’ colpa mia se non riusciamo a vederci così tanto spesso come vorresti.

E’ colpa mia se non riusciamo a vederci così tanto spesso come vorrei.

E’ colpa mia se non riusciamo a vederci così tanto spesso come vorremmo.

Bologna ’08

Attraversare le vie di una città a misura d’uomo, circondato da suoni e colori.

Macinare chilometri, forse un paio di troppo, stringendo una mano e sentirla calda, viva, sentirla mia.

Commentare, ridere, correre a fare qualche foto e fermarsi ad aspettare gli altri.

Osservare con occhi curiosi il pacifico fiume che felice, allegro e gioioso scorreva tra il traffico e le case.

Vedere di essere visti dai cittadini, dai curiosi, dagli automobilisti fermi nel traffico, dagli studenti sui balconi, dalle vecchiette nascoste dietro le tende.

Gli occhi umidi durante i discorsi finali.

Un senso estremo di libertà, di poter esser me stesso, senza alcun vincolo.

Avere ancora una volta la conferma di non essere solo, di essere tutti uguali e ognuno diverso.

Ma anche la brutta sensazione di non essere visti da chi doveva vederci, di essere ignorati da chi ci dovrebbe ascoltare, di non essere considerati da chi dovrebbe fare informazione.

Questione di (auto)limitazione e fiducia reciproca

Argomento spinoso.. e capisco come si possa sentire il Gatto.

E, sinceramente non so neanche se mi conviene scrivere qui certe cose, visto che qualcuno (fiu fiuuuu) legge. E abbiamo visioni un po’ diverse su certe cose. E non vorrei che questi miei pensieri abbastanza sconclusionati possano creare qualche problema. Ma siano, invece, uno spunto per costruire qualcosa, per ragionare a vicenda sui rispettivi caratteri e sul modo di sentire e percepire il medesimo avvenimento. E di crescere, col confronto.

Perchè io, sostanzialmente, sono per la “non limitazione” dell’altro e, di conseguenza, per la “non limitazione” di me stesso. Sì, esatto. Questo principio è proprio da leggersi come un “fai pure tutto quello che vuoi”. Io mi fido di te. E ciò è possibile solo perchè io ti amo e tu ami me, perchè abbiamo costruito tra di noi qualcosa che è veramente importante.

Un incontro con un ipotetico terzo non lo vedrei come motivo di stare male o essere geloso, perchè rientrerebbe nel discorso di fiducia di prima. Io ti amo e tu ami me, quindi con questo terzo tu non faresti nulla che non dovresti fare. Anzi, neanche. L’idea che tu, Amore, faccia qualcosa che non dovresti fare, è esclusa a priori, visto che ci amiamo e io mi fido di te.

Ma se poi, con questo terzo, ci fai qualcosa, allora è un problema. E’ però un problema tuo, non mio. E’ tuo, perchè allora vuol dire che non mi ami veramente. E’ tuo, perchè vuol dire che tu sei stato scorretto nei miei confronti. E allora, solo allora, credo di essere in diritto di stare male, essere arrabbiato.

Certo, questo è il mio principio di massima. Ed è altrettanto ovvio che poi tutto dipende dalle altre variabili.

Perchè, ad esempio, so che tu, al contrario di me, stai male in certe situazioni. E cerco quindi di agire di conseguenza e non far succedere certe cose che so che ti possano far star male.

Cose che so.. sapere.. Ma come faccio a saperle? Come faccio a sapere cosa ti urta?

Credo sia possibile solo con l’esperienza, con il conoscersi reciprocamente. Ovvero vivendo, essendo se stessi, essendo una coppia, sbagliando, sbagliando senza sapere di stare sbagliando.

Il brutto degli sbagli che fanno stare male l’altro è che l’altro deve dirtelo, deve fartelo sapere o tu devi riuscire in qualche modo ad accorgertene. Per poter chiedere scusa, per rimediare all’errore e per imparare dall’errore stesso. E la prima cosa che si impara è di non sottovalutare o essere superficiale su azioni, fatti, progetti, idee, desideri e speranze che invece sai (perchè l’hai scoperto sbagliando) che sono importanti per l’altro.

Prima ho volutamente puntualizzato sbagliando senza sapere di stare sbagliando. Perchè il caso dello sbagliare sapendo di sbagliare rientra nel discorso di fiducia di prima. Io ti amo e tu ami me, quindi non puoi sbagliare (e farmi male) sapendo di sbagliare (e di farmi male). Anzi, neanche. L’idea che tu, Amore, sbagli (facendomi male) sapendo di sbagliare (e di farmi male), è esclusa a priori, visto che ci amiamo e io mi fido di te.

E allora, se tu sbagli sapendo di sbagliare, è un problema. E, come prima, è un problema tuo, non mio. E’ tuo, perchè allora vuol dire che non mi ami veramente. E’ tuo, perchè vuol dire che tu sei stato scorretto nei miei confronti, sapendo di esserlo. E forse vuol dire che le cose dovrebbero un po’ essere messe in discussione.

Tornando invece al discorso generale, volevo evidenziare un’altra variabile. E’ quella dello stato della relazione, lo stadio in cui si trova. Se è appena nata, se vegeta in qualche modo, se si avvia ad un misero declino.

Poniamo il caso che ci sia conosciuti da poco, che la relazione (o come la vuoi chiamare) si trova proprio all’inizio, che sta muovendo i primi passi. Poi una vacanza programmata da tempo e qualche chilometro di distanza. E poniamo il caso che tu, che sei ancora nella grande afosa città decida di uscire con un altro, dopo aver condiviso, in questi primi giorni, un sacco di bei momenti (intimi, tra l’altro e non solo!).

Beh, sinceramente.. ma che cavolo ti viene in mente? Guai a te (e dico guai a te!) se esci con Tizio Caio Sempronio solo per una birra e solo per fare quattro chiacchiere punto e basta, e comunque lui sa che ci vediamo.

E io, sinceramente, col cavolo che me sto zitto!