Neanche il piede premuto a fondo sul pedale
Neanche l’autoradio a tutto volume
Neanche cantare a squarciagola
Riesce a sfogarmi.
Ormai è tutto un’unico e ininterrotto pianto.
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Oggi [Ieri]
Oggi, cioè, ieri, è finalmente finito.
Una giornatina niente male a lavoro. Un po’ di situazioni difficili da gestire, comparse tutte all’ultimo momento, ma alla fine, è andato tutto bene, senza troppi inghippi.
E non so perchè lo sto scrivendo. Forse per scrivere qualcosa, forse per passare un po’ di tempo prima che Morfeo passi a trovarmi.
C’è da dire che ultimamente, sto veramente trascurando la parte “social” di me. Poco twitter, reader ormai bloccato sul 1000+.
Questi due giorni di lavoro sono stati molto strani, dopo i 2 giorni di università . Mi sono reso conto di sbirciare tutti i volantini alla ricerca dell’offerta giusta su un Nokia UMTS (ancora mi mangio le mani). Le mie adorate serie TV le ho abbandonate, per mancanza di tempo. Esco veramente poco, tanto che questa sera ho anche rinunciato alla goodbye night di uno degli stagisti che ha deciso di cercare un altro lavoro. Il Wii è spento da un sacco di tempo, il DS pure. Ho giocato per un’oretta a Spore ma non mi è piaciuto molto. Troppo poco riflessivo, troppo d’azione. No, me lo aspettavo diverso. Mi sembra di aver perso qualche contatto. Di non sentire più alcune persone a me care, di essermi un po’ allontanato.
E poi.. boh. Sto scrivendo un sacco di righe senza avere, alla fine, nulla da dire.
Non so come sia possibile, ma a volte, mi sento un po’ vuoto. C’è qualcosa, di fondamentale, che sembra che mi manchi. E non riesco a capire cosa sia.
Beccato, di nuovo
Ti avevo chiesto di non googlarmi più.
Nonostante la tua promessa, te ne sei fregato.
Te ne sei fregato settimana scorsa. E hai già dimenticato cosa è successo?
Ma te ne sei fregato di nuovo.Â
Sì, ti ho scoperto. Sei arrivato qui, da Google.
No? E invece sì. Alle ore 08:09:33 del 2008-09-26. Sei approdato alla home e poi hai letto l’archivio di settembre.
Poi, non contento alle ore 18:11:32, sei ritornato, sempre da Google, con le stesse keywords. Hai letto ancora l’archivio di settembre, poi sei approdato al tag web.
Ero felice, contento e fiducioso.
Ora sono deluso, arrabbiato (nero) e letteralmente sconcertato dal tuo comportamento.
Vuoi, volete lasciarmi vivere? Ca**o!
Smettela di starmi addosso, di opprimermi, di soffocarmi!
Smettela di fare promesse, dire belle parole. E rimangiarvele subito.
Io sono stufo.
Non posso più andare avanti così.
Avevamo un patto per l’università .
Io rinunciavo a parte della mia indipendenza, per poter frequentare. A condizione però che qui, in casa, ci fossero le condizioni giuste, delle condizioni migliori.
Beh, queste non lo sono.
Per nulla.
E inizio a pensare che ho sbagliato.
Sbagliato ad ascoltare chi mi consigliava di fare di tutto per recuperare il rapporto con voi, perchè siete la cosa più importante della mia vita. E sapete chi me lo aveva detto? Ironia del destino, proprio colui che voi mi state impedendo in tutti i modi di vedere.
Ho sbagliato ad ascoltarlo.
Ho sbagliato a credervi.
Ho sbagliato a pensare che le cose possono migliorare.
Come sempre, è tutta e solo una misera e instabile facciata.
Ma vi rendete conto che mi avete fatto stare male?
Vi rendete conto che mi state facendo male?
E vi rendete conto che, imperterriti, continuate a farmi male, malissimo?
Â
Voglio andarmene. Andarmene da queste quattro mura. E non vi voglio più vedere.Â
Anche se ciò significherà rinunciare ai miei sogni. E per questo, vi ringrazio. Ora siete contenti e soddisfatti?
Spese folli, biglietti e abbonamenti
Oggi, giretto per Milano con una mia carissima amica.
Semplicemente per svaligiare una Feltrinelli di libri della Taschen su loghi, impaginati, web design. Giusto per iniziare a crearci una libreria da cui prendere spunti creativi. Per il nostro futuro, per la nostra cultura, per il nostro lavoro.
E, nel frattempo, chiacchere, chiacchere e chiacchere. Quei momenti di pace e tranquillità con un’amica che mi mancavano da un sacco. E di cui avevo abbastanza bisogno dopo la frenesia degli ultimi giorni.
Peccato, però, per le tempistiche ristrette e l’impossibilità , per Love, di raggiungerci.
Poi, il ritorno a casa.
E un giro sul sito della facoltà . E lì, sulla home, sono uscite. Le famose ALLL-LLLLO-CAAAA-ZIOOOOO-NIII, quelle di cui mi parlava la tipa della segreteria didattica. Sostanzialmente, la suddivisione definitiva nelle varie sezioni. E come speravo, mi è andata bene. Così, non avrò troppi problemi con il lavoro, a conciliare le due cose.
E così, ora, c’è quasi tutto. Lunedì si inizia.
Ho controllato i costi di abbonamenti/biglietti per capire cosa mi conviene di più. Ho cercato le tessere e, fortunatamente, sono ancora valide.
Ora, però, devo pensare a cosa mi potrebbe servire.
Mi manca, praticamente, tutta la cancelleria. Devo comprare quaderni e blocchi per appunti. E capire anche cosa serve ad un buon studente di design.
Già , oggi, in libreria, mi prudevano le mani. Volevo prendermi un’altra Moleskine, questa volta, però, l’agendina. La più piccola possibile, versione 2008/09. Però c’era solo la weekly + spazio per gli appunti. Ma lo spazio per gli appuntamenti mi sembrava veramente poco. Ci penserò poi.
Però volevo comprarmi anche gli Stabilo, rigorosamente punta fine. Anche se so che sarebbe più che altro uno sfizio, almeno per il momento.
E poi l’Eastpack. L’ho tanto voluto. Ma ora mi va stretto. Mi sono lasciato omologare, attrarre dal suo verdone. Eppure è tanto comodo!
Poi, anche l’iPhone è pronto. Pronto a connettersi al wi-fi di BVS, dopo la procedura (incasinata) per ottenere il certificato di autenticazione.
E non so. In realtà mi sento un po’ strano.
Inizio già ad aver paura di fallire, non riuscire a coniugare il tutto.
So che è inutile avere paure del genere, ora, che non ho neanche cominciato.
Devo solo avere fiducia nelle mie capacità . Recuperare il tempo perso. Darmi da fare. Far venir fuori quanto valgo.
Devo vincere.
Devo vincere questa sfida.
Soprattutto ora, che finalmente posso vivere qualcosa che io ho scelto, per me stesso.
Stufo
Sono stufo.
E sono stanco.
Stanco di dover lottare per poter essere me stesso.
Stanco di dover faticare per farmi capire.
E non ho più voglia di sprecare energie, per nulla.
Io, sinceramente, getto la spugna.
Full
Lo devo ammettere. Gli ultimi sono stati giorni di ordinaria follia. Risucchiato nel vortice degli impegni prima dall’esame, poi da un lavoretto portato avanti con un’amica che è riuscito ad occupare le ore di luce che di solito uso per dormire.
E devo dire che ora, dopo una settimana di corse, è tempo di bilanci (oltre che di dormite). Devo indubbiamente imparare a gestire meglio il mio tempo, dare una priorità a ciò che è fondamentale e rispettarla. Però, per il resto, mi piace. Il contatto diretto col cliente, la pagina bianca che si riempe, la tecnologia che a volte non aiuta, i rush dell’ultima ora per consegnare in tempo (e poi la tipografia si accorge, dopo un giorno, che – ops – la mail non l’abbiamo mica ricevuta).Â
Mi piace lavorare in coppia. Sento di poter superare i miei limiti, di migliorarmi e di aiutare. E’ bello lo scambio di idee, è bello pasticciare con Photoshop e poi mescolare insieme i risultati dei pasticci.
Insomma, fondamentalmente mi piaciono tutte quelle caratteristiche del lavoro del grafico che il mio lavoro “ufficiale” non ha. E così, ripartono a girare le rotelline a pensare, pensare, pensare e riflettere. E’ assodato. Il motivo per cui resisto è uno, è ripetitivo e arriva direttamente in banca.
Certo che poi, anche io, continuo a tediarmi con sempre il solito discorso quando in realtà ho ben poco da fare: aspettare i risultati dei test. E, solo allora, partire con la crisi per la scelta della via giusta per costruire il mio futuro.
Ma nel frattempo quell’elenco di miliardi di cose da fare è ancora perfettamente valido, sebbene sia passato un po’ di tempo. E credo sia il caso di iniziare a sfoltirlo un po’. Per me, per la mia vita.
Amici del paesello
Nella foga di questi giorni, ho utilizzato questo mio spazietto nel mare del web anche come valvola di sfogo, per riordinare le idee e tentare di capire come stavo.
E un commento appena ricevuto, mi ha fatto tornare in mente che, alla fine, questo blog, potrebbe leggerlo chiunque e che, nella cerchia di chi legge e non si palesa ci sono anche alcuni amici del paesello, a cui, effettivamente, certi aspetti di me potrebbero sembrare una novità .
La volontà di dire qualcosa, parlare, mostrare anche questa parte nascosta di me c’è sempre stata.
Ma è stata frenata dalle solite incognite.
L’incognita dell’accettazione, la paura di rimanere solo, di perdere degli Amici che ho sempre considerato e che considero molto importanti e che, anche se non lo sanno, mi hanno dato una mano ad affrontare momenti difficili, semplicemente con la loro compagnia, la loro vicinanza, le pizzate, le serate cinema o i wiiparty.
Può essere brutto o strano venire a sapere certe cose di me dal mio blog e per questo mi scuso, con la speranza che le mie paure fossero solo stupide e insensate elucubrazioni mentali che non hanno alcuna attinenza con la realtà .
See you soon,
Lo
Questa mattina
Ok. E’ successo. E credo che ormai ho già i ricordi confusi. Non so più cosa è successo prima o dopo.
Però è successo, dopo un risveglio un po’ così. E mentre stavo premendo il tasto publish dell’ultimo post, è iniziato tutto.
Perchè, come al solito, pensavo prima al mondo che ai miei genitori e poi, insomma, chissà a chi cavolo stavo scrivendo. Ed è iniziata la solita pappardella-monologo della madre.. che sono preoccupati, che non mi capiscono, che sono cambiato, che frequento brutte compagnie, che li ho coperti di bugie (e che loro non sono scemi e hanno capito tutto) e hanno iniziato col solito gioco del “c’è qualcosa che mi dovresti dire?”
Ma il tono che ha usato in tutto questo suo monologo è stato quanto di più odioso avessi mai sentito e con tutte le frase fatte che riusciva a dire, le stesse cose trite e ritrite mi facevano salire solo rabbia, su rabbia, su rabbia. Mi sono scaldato il latte, mentre lei continuava a parlare, l’ho bevuto con i miei biscotti e lei continuava a parlare e parlare e parlare e la cosa mi faceva semplicemente arrabbiare.
Poi me ne sono andato in camera, con la voglia di perpararmi per una doccia, ma lei mi ha bloccato, di forza, per non farmi andare in bagno. E da lì, non ricordo neanche più come, è scoppiata a piangere, un pianto disperato, che mi ha fatto accaponare la pelle e stare male anche io. L’ho accompagnata sul letto e l’unica cosa che mi è venuta in mente di fare è stata di prenderla, scoppiare anche io a piangere e abbracciarla, come non avevo mai fatto in vita mia. E piangeva, dicendo che era preoccupata, stava male e mi chiedeva di dirglielo, che se un’amicizia era andata troppo oltre, c’era sempre modo di tornare indietro e che mi potevano aiutare, che c’era sempre modo di cambiare, bastava parlare, che ci sono tante brave ragazze in giro e anche se si trova quella giusta a 30 o 40 anni non è un problema, che non ha senso che io vada a lavorare perchè la mia è l’età dello studio e che loro non hanno bisogno dei miei soldi. E non ricordo se gliel’ho detto in quel momento o dopo, quando ha tirato fuori qualcuno dei suoi cavoli di pregiudizi che mi hanno fatto completamente perdere le staffe e scappare in bagno a lavarmi.
Uscito fuori dal bagno, mi sistemo, mi vesto per uscire, per andare da qualcuno che non potevo resistere a casa. Ma non potevo. Aveva nascosto il mio mazzo di chiavi, quelle della macchina e aveva chiuso a chiave tutte le porte. E mi sono arrabbiato ancora di più, pretendendo di riavere indietro le mie chiavi e la mia libertà di uscire. Perchè nel frattempo, mi aveva accusato di averla quasi uccisa quando stava partorendo, di farla soffrire ancora più di quanto soffriva per la nonna e ad un certo punto si era messa pure a pregare, ad alta voce, la nonna, perchè le desse la forza di andare avanti. E inzialmente ho perso le staffe, perchè volevo uscire, non potevo sopportare tutte queste cose. Sei malato, non sei normale, cosa dirà la gente, ti sei scelto una strada difficile, ti porterà solo dolore. E volevo uscire, andarmene, correre da qualcuno con cui potessi sfogarmi. E lei mi aveva chiuso in casa. E come un pazzo, volevo uscire. Esagerando, forse, col senno di poi, le ho ricordato che sono maggiorenne e mi sta trattenendo con la forza. E che o mi faceva uscire, o avrei chiamato la polizia. E così si è calmata un attimo, ma poi ha ripreso, sempre le stesse cose. E io man mano minacciavo, salendo le scale, verso il telefono. Tanto che ero arrivato anche a comporre il numero. Solo che a quel punto la rabbia si era leggermente dissipata e ho potuto farle notare che non era tenendo bloccata una persona che poteva instaurare il dialogo. E se era un dialogo, quello che voleva, doveva ridarmi le chiavi e darmi la possibilità , se volevo, di uscire da casa, casa nostra, casa mia. E poi ancora, tranquilli, i pianti, gli abbracci. E continuava ad insistere sulla malattia. E in quel momento non ci ho visto più. A parte il fatto che non aveva ancora mantenuto la parola data di ridarmi le chiavi e riaprire la porta, continuava ad insistere. Preoccupata della strada di perdizione, la malattia, la gente cosa dirà , il dolore della scelta. Tentare di farle capire che non era una scelta ma che ero così e punto ed era solo da accettare e che anche io avevo impiegato tempo a lavorare su di me, a capirmi, ad accettarmi. E non capiva, non voleva capire, non voleva neanche provarci. E di nuovo la rabbia saliva, assieme alla mia incapacità di spiegarglielo e così l’idea di chiamare e prendere l’appuntamento con la dottoressa da cui ero andato (dopo sue insistenze) un anno fa. E allora voleva sapere lei cosa mi aveva detto, se anche la dottoressa diceva che ero veramente così. E la rabbia saliva, perchè non riuscivo a farle capire che non è una scelta, non è qualcosa che mi dovevano dire gli altri o che posso scegliere, come se fosse la maglietta che si sceglie la mattina. E la rabbia saliva, perchè non mi voleva fare uscire. Non voleva capire che non ero in grado di spiegarle molto, il perchè, il per come, se ce l’ho nel dna o è colpa loro. E così, come un pazzo, uscendo dalla stanza e salendo e scendendo le scale, mi è venuto solo da urlare che sono anni che l’organizzazione mondiale della sanità non la riconosce come una malattia e che, cavolo, non sono malato e fa male, molto male, sentirsi dire dalla propria madre che si è stati quasi causa della sua morte al momento del parto, fa male sentire tirare in ballo la povera Nonna, fa male tutto il resto.
Poi, non si sa come, ha capito che era meglio aprire la porta, ridarmi le mie chiavi. E voleva sapere dove andavo, perchè voleva essere sicura di dove andavo. E che questa sera, dopo il lavoro, sarei dovuto tornare a casa, subito, senza giri strani. Perchè, domani mattina, dobbiamo portare la macchina dal meccanico.
Me stesso?
Non posso leggere queste frasi, perchè inizio a domandarmi chi in realtà io sia. A volte, mi rendo conto di avere mille sfacettatture che però non mostro, in contemporanea, a tutti. Che ho mille volti che ben pochi, in realtà , conoscono. Non è questione di nascondersi, nè è questione di falsità . E’ solo che.. boh! Per un motivo o per un altro spesso non riesco a comportarmi come vorrei, spesso non mi sento me stesso, ammesso che io riesca a capire chi sia effettivamente questo me stesso.
La cosa che però mi preoccupa è che con queste persone riesco ad essere simpatico, gentile, cordiale, accondiscendente. Riesco a farmi usare, ingannare, fregare. E spesso o addirittura quasi sempre sono persone che non si meritano di vedermi così, non si meritano la possibilità di usarmi, ingannarmi, fregarmi. Non si meritano di vedere il lato forse buono (e ingenuo) di me.
E invece poi va a finire che le persone a cui tengo di più vedono invece un me diverso. Vedono un me stupido, cretino, paranoico, fissato, egocentrico, vendicativo, intrattabile, sbadato, velenoso, dannatamente lunatico. E riesco sempre a combinare qualche pasticcio, ad arrabbiarmi per un nonnulla, a serbare rancore.
E la domanda è quella, sempre quella. Io, veramente, chi sono?
Autoconsiderazioni
Ed eccomi qui come al solito davanti al computer, ad un’ora piuttosto tarda, a scrivere qualcosa. Con Madonna in sottofondo e un’occhio all’altra finestra, col Twitterworld che parla. E, dicevo, son qui a scrivere qualcosa.
Cosa non lo so, anche perchè mi rendo conto che non so scrivere. Non riesco ad essere così profondo come vorrei essere. Non riesco ad essere come altri. Che mi fanno provare grandi sensazioni quando leggo i loro post, sia che li conosca realmente che solo tramite questo mondo in versione 2.0.
Eppure son qui, tra questi byte, col mio blog. Che ultimamente sta diventando un po’ troppo noioso e che non aggiorno più molto spesso.
Forse perchè non so più di cosa parlare.
Forse perchè non riesco a parlare più di me.
Forse perchè non c’è nulla di cui parlare.
Ho deciso di non affidare al finto anonimato del web certe questioni importanti. Perchè è meglio parlarne di persona con il/la diretta interessato/a.
Visto che è l’unico modo per risolvere i problemi.
Sto tentando di essere meno polemico. E questo porta via molta materia prima al mio blog.
E le cose, alla fine, vanno bene. Con la family, a lavoro, con Love.
Certo, tra poco si avvicinerà il momento della scelta che incombe: decidere cosa fare a settembre.
Continuare a lavorare, studiare/lavorare o studiare e basta.
Perchè il lavoro, anche se non è esattamente quello che vorrei, mi piace ed è tutto sommato dignitoso, anche a livello economico.
Perchè di riprendere a studiare, ho paura. Di dovermi scontrare con lo spettro delle mie capacità . Il dover dimostrare di essere bravo in quello che voglio studiare. Perchè, prima, era facile. Mal che andava, potevo dire che non era quello che mi piaceva e mi pesava. E ritorna lo spettro dei ponti sotto cui vivere e il dare ragione a qualcuno.
Perchè abbandonare un lavoro bello e dignitoso, in questo periodo di presunta crisi e pessimismo non mi rende affatto sicuro e tranquillo. Se e quando avrò finito gli studi riuscirò a trovare lavoro? O a 30 anni farò ancora parte del precariato perenne?
E perchè devo scegliere. Arte&Messaggio. O Polimi con Design della Comunicazione. Da una parte una scuola che mi attira tantissimo, di soli due anni, che volendo si potrebbe coniugare con il lavoro, se riuscissi a trovare un monolocale/stanzino a Milano. Dall’altra parte la favoletta del pezzo di carta di una Laurea. Ma l’idea di dover affrontare, di nuovo, l’incubo università . Con lezioni, prove, esami.
Il tutto in attesa che a lavoro mi dicano qualcosa. Perchè non solo c’è il lavoro, ma c’è pure il rischio che mi propongano un contratto a tempo indeterminato.
Con la family, le cose vanno bene.
Sarò io quello più tranquillo e sereno. O forse sono gli orari che mi fanno vedere e comunicare con la family il minimo indispensabile. E così le cose vanno bene.
Però c’è un passo importante da fare.
Una cosa importante da comunicare.
E come tutte le cose importanti, è diffile.
Ma conoscendoli, ho bisogno di una mia ancora di salvezza.
E per questo ho sempre voluto essere indipendente il prima possibile. Proprio perchè ho paura di conoscerli.
E il lavoro e la forse quasi assunzione sono un passo molto importante verso l’essere indipendente.
Giusto per aumentare i miei mille dubbi.
E poi c’è Love.
O forse Love è prima di tutto.
Ma provo invidia nei suoi confronti.
Perchè ha potuto fare quel che ha voluto.
Per l’importanza che ha la sua famiglia.
Per i recenti sviluppi con la sua Mam.
Anche se c’è un minimo di paura latente.
Perchè sogno ad occhi aperto un lungo futuro per il nostro amore.
E paura che questa sostanziale differenza tra le nostre situazioni possa diventare, nel lungo periodo, un peso, un ostacolo.
Ma ho anche paura di affrontare la cosa.
E dover così scoprire se l’ancora di salvezza era veramente necessaria oppure no.