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Spese folli, biglietti e abbonamenti

Oggi, giretto per Milano con una mia carissima amica.

Semplicemente per svaligiare una Feltrinelli di libri della Taschen su loghi, impaginati, web design. Giusto per iniziare a crearci una libreria da cui prendere spunti creativi. Per il nostro futuro, per la nostra cultura, per il nostro lavoro.

E, nel frattempo, chiacchere, chiacchere e chiacchere. Quei momenti di pace e tranquillità con un’amica che mi mancavano da un sacco. E di cui avevo abbastanza bisogno dopo la frenesia degli ultimi giorni.

Peccato, però, per le tempistiche ristrette e l’impossibilità, per Love, di raggiungerci.

Poi, il ritorno a casa.

E un giro sul sito della facoltà. E lì, sulla home, sono uscite. Le famose ALLL-LLLLO-CAAAA-ZIOOOOO-NIII, quelle di cui mi parlava la tipa della segreteria didattica. Sostanzialmente, la suddivisione definitiva nelle varie sezioni. E come speravo, mi è andata bene. Così, non avrò troppi problemi con il lavoro, a conciliare le due cose.

E così, ora, c’è quasi tutto. Lunedì si inizia.

Ho controllato i costi di abbonamenti/biglietti per capire cosa mi conviene di più. Ho cercato le tessere e, fortunatamente, sono ancora valide.

Ora, però, devo pensare a cosa mi potrebbe servire.

Mi manca, praticamente, tutta la cancelleria. Devo comprare quaderni e blocchi per appunti. E capire anche cosa serve ad un buon studente di design.

Già, oggi, in libreria, mi prudevano le mani. Volevo prendermi un’altra Moleskine, questa volta, però, l’agendina. La più piccola possibile, versione 2008/09. Però c’era solo la weekly + spazio per gli appunti. Ma lo spazio per gli appuntamenti mi sembrava veramente poco. Ci penserò poi.

Però volevo comprarmi anche gli Stabilo, rigorosamente punta fine. Anche se so che sarebbe più che altro uno sfizio, almeno per il momento.

E poi l’Eastpack. L’ho tanto voluto. Ma ora mi va stretto. Mi sono lasciato omologare, attrarre dal suo verdone. Eppure è tanto comodo!

Poi, anche l’iPhone è pronto. Pronto a connettersi al wi-fi di BVS, dopo la procedura (incasinata) per ottenere il certificato di autenticazione.

E non so. In realtà mi sento un po’ strano.

Inizio già ad aver paura di fallire, non riuscire a coniugare il tutto.

So che è inutile avere paure del genere, ora, che non ho neanche cominciato.

Devo solo avere fiducia nelle mie capacità. Recuperare il tempo perso. Darmi da fare. Far venir fuori quanto valgo.

Devo vincere.

Devo vincere questa sfida.

Soprattutto ora, che finalmente posso vivere qualcosa che io ho scelto, per me stesso.

2/2

Ho avuto la conferma.

Ho superato anche l’altro test d’ingresso.

Bene.

Ottimo.

Ho superato entrambi i test d’ingresso.

E ne avevo fatti due, perchè dovevo avere la possibilità di fare qualcosa nel caso in cui uno andasse male.

E dire che prima avevo in mente di scegliere altro.

E invece, poi, ho cambiato idea.

E lunedì inizierò il percorso che volevo iniziare quattro anni fa.

E lunedì inizierò il percorso che dovevo iniziare quattro anni fa.

Però no, questo non vuole essere un post di rimpianti e recriniminazioni.

No.

Se ora sono dove sono lo devo al mio passato.

E, che cavolo!

Io sono bravo.

Due su due.

Superati.

Autostima, per una volta, oltre il cielo.

Pensieri (che mi tengono sveglio)

Oggi mi sentivo inutile.

Una volta lei era il genio, la creatività, la pazza con le idee. Io ero bravo e riuscivo a realizzarle. E funzionavamo.

Oggi lei è ancora geniale, creativa, pazza. Ma ha frequentato un’ottima scuola ed è diventata pure brava, bravissima. Prende, fa, disfa, pasticcia, gioca con le immagini, i font, i colori, gli effetti e gli strumenti.

Io, invece, tra leggi, numeri, formule e grafici mi sono perso, mi sono arrugginito e mi sono spento, sono rimasto indietro.

E oggi mi sentivo inutile.

E mi chiedevo che senso ha fare il test, che senso ha inseguire, illudendomi, una strada che non mi porterà da nessuna parte?

E così inizio a pensare. E a non capire. Cosa devo o non devo fare, quale sia la scelta giusta o la meno sbagliata.

E ho voglia di fuggire. Fuggire dalla situazione in cui mi ritrovo, fuggire da casa, fuggire da test.

E mi sommergo di cose da fare, per poter agire e non dover decidere.

Ma purtroppo per me, rimugino tutto, a fine giornata, sotto le coperte, tentando di dormire.

E si trasformano in incubi tremendi, che non mi fanno dormire: enormi massi bianchi cadono dall’alto mentre sto tornando a casa in macchina. Uno di questo masso cade davanti a me. Lo prendo in pieno e l’auto si schianta, con tanto di scena al rallentatore in cui la macchina si accartoccia su di me, schiacciandomi e soffocandomi sempre di più finchè, d’un tratto, non mi sveglio tutto sudato.

Dicono sia un solitario

Lo devo ammettere.

Ora mi sento solo, decisamente solo.

A casa a far nulla, a perdere tempo, indeciso se stare attaccato al mac, alla tivvù, al wii o giocare con l’iPhone.

Con Love in campeggio, i miei che rompono le scatole e stanno tentando di incastrarmi per il prossimo weekend per andare da qualche parte, ovviamente addossandomi la colpa di non essere mai a casa nel mio vagabondare da zingaro per via del lavoro, della vacanza in Grecia e della fuga (con litigata annessa) del 15 verso il lago, verso Love, la sua famiglia, i suoi amici.

Una giornata bella, allegra, tranquilla a dispetto del tempo che non prometteva e che ha fatto rimandare i fuochi d’artificio sul lago.

Ai miei non sono mai piaciute le sceneggiate, pagliacciate o come cavolo le chiamano. Odiano passare le feste, trascorrere le feste o anche solo altri momenti con gli amici, conoscenti, parenti, altri. Ma quello che non vogliono capire è che io non sono come loro.

Per quanto io sia sempre stato dipinto come timido, riservato, introverso e solitario, mi sento bene in mezzo agli altri. Mi sento bene in mezzo agli amici, parlando del più o del meno o anche solo stando in silenzio, osservando gli altri. Mi piace osservare gesti, smorfie, sorrisi.

Ho tratti di timidezza nel “primo approccio”, nel non riuscire a dire/fare cose che potrebbero essere “imbarazzanti” o “sbagliate” con qualcuno che non conosco (anche solo fermare un passante per chiedere informazioni), eppure non mi sento affatto riservato, introverso, solitario. Necessito degli altri per sentirmi vivo, capire che esisto. Mi piace parlare (di me) con gli altri, anche se a volte esagero, stordendoli (e la suocera ne sa qualcosa :P).

Però, ora, mi manca qualcosa.

Sarà la permanenza forzata tra queste quattro mura, sarà il pensiero che corre a vecchi amici persi per strada, per errori, litigate o anche solo per il naturale diverso sviluppo della vita. Voglia di alzare il telefono, mandare un messaggio, sapere come stanno e cosa combinano. Ma c’è anche la consapevolezza che il messaggio, la chiamata sarà qualcosa di effimero, che scompare, che non vorrà dire nulla. Non vorrà dire che tutto è ritornato come prima a sentirsi tutti i giorni, passare del tempo insieme, vivere insieme.

Riprese (sviluppi diversi)

E intanto, uscito dall’ufficio, sono rimasto a parlare un po’ con miei pochi ma buoni colleghi preferiti. E una cosa (di quanto scritto qua sopra) tira l’altra. Ci siamo confrontati ed è rassicurante perchè vuol dire che non sono io il matto che non capisce, che interpreta male le cose.

E però una cosa ha tirato l’altra. Ed è passato, volando, tanto tempo, troppo tempo. E non ho più potuto fare un saltino da te, vista l’ora ormai tarda. E mi spiace. Prima, la promessa via Gtalk, poi i controlli da finire (con i colleghi già spariti), poi l’escooradall’ufficio, la chiaccherata con i colleghi e poi l’ultima chiamata.

Salito in macchina ho provato a chiamarti, ma il Motorola era spento. Altri mille dubbi che mi sono venuti, assieme a tutti gli altri che già frullavano in testa. La possibilità di un’arrabbiatura da una parte, la possibilità che tu fossi già tra le braccia di Morfeo dall’altra, la speranza che si era solo scaricato il telefono e di poterti trovare online, più tardi.

E invece, purtroppo, no.

E io, come al solito, quando non so, sto male.

Gomitoli e matasse

Sono stufo e stanco. Molto stanco. Inizio ora a sentire la stanchezza di questi ultimi e dei precedenti giorni lavorativi e non vedo l’ora di staccare, prendere una pausa.

In questi giorni mi sento deluso, completamente deluso da certi colleghi, da coloro che mi stanno intorno per tutta la giornata lavorativa.

Veramente, sono pochi, in quell’openspace quelli che prendono sul serio il proprio lavoro. Responsabilità date a chi non se le merita e non fa nulla per meritarsele, se non demandare ad altri il lavoro, parlare al telefono (preferibilmente dell’ufficio) ininterrottamente con amici e parenti (possibilmente urlando). E, così, di persone, ce ne sono due.

Un menefreghismo totale su certi aspetti, l’incapacità di organizzarsi, di dare le priorità, di rispettare i propri colleghi o anche solo tenere un atteggiamento consono al luogo di lavoro. Che può pure informale e tutto quello che vuoi, ma usare certe volgarissime espressioni, sempre, ogni poco, urlando.. insomma, non è il massimo. Soprattutto se sei una donna.

Fortunatamente, per questo lunghissimo speciale estate, sto lavorando praticamente solo con i miei giornalisti. Riusciamo ad organizzarci bene il lavoro, riusciamo a coordinarci e l’uno – quando può – da’ una mano all’altro. E sono contento di come lo stiamo portando avanti. Credo stiano venendo fuori delle pagine veramente carine e ne sono soddisfatto.

Però capita che dopo tutta una giornata a curare lo speciale, ti giri e vedi l’uno e l’altra su msn, facebook, email, giochi e facciamo il test di Sex & the City, però è inglese, chi me lo traduce? e, insomma ti girano un po’. Perchè non è affatto la sbirciatina veloce per staccare un attimo. E’ – più o meno – la regola. E hanno pure il coraggio di lamentarsi che io non seguito alcune pubblicità che, insomma, se stavo facendo altro, potevano anche pensarci loro, visto che stavano giocando, no? E hanno pure avuto il coraggio di andare via, prima di me. Hanno dato l’ok per la stampa alla tipografia quando mancava ancora quella parte di controlli che di solito faccio io, ma che non avevo ancora fatto perchè stavo facendo altro. E no, non ci si comporta così.

Però, al di là della pura cronaca, queste cose mi danno veramente fastidio, mi fanno star male, ancora, anche se dovrei saperlo che lì dentro funziona così. Non esiste una seria gerarchia, non ci sono ruoli e compiti definiti, manca completamente organizzazione.

Uno dei miei giornalisti dice che sta sfruttando l’occasione per crescere professionalmente, più che altro nel senso di imparare a convivere con certi elementi.

Io, invece, per carattere, purtroppo, lascio correre le cose. Mi arrabbio, ho poi bisogno di sfogarmi e a volte sfogo tutto quello che mi tengo dentro con le persone sbagliate. Eppure, esternamente, sono mite e calmo. E questo, però, favorisce l’opera di certi personaggi, che credono di potermi mettere i piedi in testa facilmente. Ci hanno provato (e purtroppo, recentemente, ci sono anche riusciti). Però sto accumulando tutto. E prima o poi, sicuramente nel peggiore dei modi, esploderò.

E intanto, uscito dall’ufficio, sono rimasto a parlare un po’ con miei pochi ma buoni colleghi preferiti. E una cosa (di quanto scritto qua sopra) tira l’altra. Ci siamo confrontati ed è rassicurante perchè vuol dire che non sono io il matto che non capisce, che interpreta male le cose.

Però c’è una cosa che mi fa star male. Stavo pensando, di nuovo, a settembre e a quel che succederà. Con tutte le vicende giornaliere, mi si stanno visibilmente sgretolando le possibilità che avevo di realizzare il mio sogno: conquistare l’indipendenza dal nido materno e andare a vivere nella grande città.

C’è sempre stata la consapevolezza della difficoltà della scelta. Conciliare la scuola di grafica al mattino e il lavoro al pomeriggio sera si sarebbe rivelato piuttosto difficile. Avrebbe voluto dire rinunciare a molto, vuol dire rinunciare alle mie passioni, accantonare gli amici, probabilmente anche faticare a trovare del tempo per la persona che amo, in virtù di una cosa fondamentale per poter affrontare la giornata scolastica + lavorativa: il sonno.

Ora però si stanno aggiungendo anche forti dubbi a livello puramente economico: scuola + lavoro implica, per avere più tempo ed essere meno stressato, avere una minuscola stanzina a Milano. Affitto, spese, cibo da pagare, ai prezzi di Milano. Non vorrei dovermi trovare a vivere di stenti pur di arrivare a fine mese con uno stipendio che, alla fine, è quello che è (poi si dimenticano pure di pagare questo o quello).

Così partendo dalla difficoltà intrinseca della scelta stessa e aggiungendo sia i forti dubbi economici sia l’invivibilità dell’ambiente di lavorativo si arriva ad una lapidaria sentenza: è un suicidio. 

Sicuramente in caso di problemi ad arrivare a fine mese, la preferenza andrebbe alla scuola mentre il lavoro salterebbe (con un vaffa generale molto soddisfatto, probabilmente). Mi risveglierei di botto dal sogno dell’indipendenza diventato realtà per troppo poco tempo e sicuramente farebbe molto molto male.

Come al solito, dovrò fare una scelta. Come al solito, non ne sono capace.

Mi dicono che devo fare quel che ritengo giusto per me, quel che mi sento di fare. Ma cos’è giusto? Abbandonare direttamente il lavoro e rimandare di almeno due anni la libertà? Testare subito la libertà e distruggermi di studio e lavoro? Non riuscirci e vedere fallire miseramente il mio progetto?

Non sono capace di chiudermi il passato alle spalle. Io rimugino, rimugino e rimugino. E ciò su cui più rimugino è me stesso. Mi guardo dentro, vedo una matassa imbrigliata e non vengo a capo di nulla. Sono un gomitolo di rimorsi per quanto non fatto, di rimpianti per quanto perso, di rabbia per gli errori commessi.

Successo

Domanda interessante.

Cos’è, per me, il successo?

Non lo so. Non riesco a dare una definizione al successo. Ho solo pensieri sparsi, qua e là.

Successo è realizzare i propri sogni sogni. Allora vuol dire avere una persona che amo (e che c’è già), poterci vivere assieme in una bella casa, avere un lavoro che mi piace e mi permette di arrivare a fine mese permettendomi qualche sfizio o piccola pazzia. Banale? Forse. 

Successo è sentirmi realizzato. Ovvero diventare bravo nel mio campo, crescere, imparare, diventare maturo, professionalmente parlando. Riuscire a curare adeguatamente il cliente, capire le sue esigenze e soddisfarle. Avere tempo per migliorarmi, confrontandomi con chi ne sa più di me. Sfidarmi, sempre e comunque.

Successo è riuscire a mettere ordine nella mia vita, raddrizzare i pessimi rapporti con i miei, rimanere vicino alle persone a cui tengo.

Successo è sentire di non stare buttando via il mio tempo dietro ad una chimera inesistente, è sentire che, passo dopo passo, forse ce la sto facendo.

Me stesso?

Non posso leggere queste frasi, perchè inizio a domandarmi chi in realtà io sia. A volte, mi rendo conto di avere mille sfacettatture che però non mostro, in contemporanea, a tutti. Che ho mille volti che ben pochi, in realtà, conoscono. Non è questione di nascondersi, nè è questione di falsità. E’ solo che.. boh! Per un motivo o per un altro spesso non riesco a comportarmi come vorrei, spesso non mi sento me stesso, ammesso che io riesca a capire chi sia effettivamente questo me stesso.

La cosa che però mi preoccupa è che con queste persone riesco ad essere simpatico, gentile, cordiale, accondiscendente. Riesco a farmi usare, ingannare, fregare. E spesso o addirittura quasi sempre sono persone che non si meritano di vedermi così, non si meritano la possibilità di usarmi, ingannarmi, fregarmi. Non si meritano di vedere il lato forse buono (e ingenuo) di me.

E invece poi va a finire che le persone a cui tengo di più vedono invece un me diverso. Vedono un me stupido, cretino, paranoico, fissato, egocentrico, vendicativo, intrattabile, sbadato, velenoso, dannatamente lunatico. E riesco sempre a combinare qualche pasticcio, ad arrabbiarmi per un nonnulla, a serbare rancore.

E la domanda è quella, sempre quella. Io, veramente, chi sono?